Certi pomeriggi li trascorro quasi interamente dentro la mia stanza, uscendo da qui soltanto quando ormai è ora di cena, al momento in cui mi corre l’obbligo, così come desidera rigorosamente mio padre, di indossare le scarpe ed un abito adeguato prima di presentarmi in sala da pranzo all’orario stabilito una volta per tutte, sempre che non ci siano delle eccezioni di cui tenere conto. Mi piace il silenzio che si crea in certi orari dedicati allo studio: seduta alla mia scrivania tra le matite sparse davanti a me, continuo a consultare volentieri questi libri di testo delle mie materie scolastiche preferite, immersa come mi sento in una calma e in una sospensione del tempo che a tratti sembra quasi irreale, anche se spesso nella mia mente paiono inseguirsi per proprio conto intere scalate di note suonate al pianoforte, suoni che come sempre sembrano insistere per essere riprodotti al più presto possibile sopra la tastiera. Mi stuzzicano certi intervalli che appaiono strani persino dentro la mia testa, e soprattutto mi inseguono spesso gli accordi a sei suoni, che non si sa mai verso dove possono tendere. Ogni tanto, per fare una pausa, riapro il mio solito “piccolo manuale di armonia”, e cerco di capire qualcosa di più su quello che c’è da sapere avanti di presentarmi di nuovo al maestro Bottai per la lezione dei giorni dispari. Comunque mi piace pensare ed immaginare la musica ancora prima di avere la possibilità di eseguirla al pianoforte, è come sentissi dentro di me già risuonare quello che mi rimbalza nella testa, senza alcun bisogno di provare ed esercitare nessun suono.
Credo che mia madre riesca a comprendere in qualche maniera cosa io provi, anche se lei vorrebbe per me che diventassi semplicemente una brava esecutrice di qualche brano classico e magari piuttosto consueto, niente di più. Ma sempre di meno sento la voglia di esibirmi di nuovo davanti alle sue amiche o ai miei parenti, per sentirmi ripetere ancora che sono proprio brava e colma di sensibilità. Ed anche il mio carissimo insegnante di musica, il grande maestro Bottai, sembra proprio voler esprimere la medesima opinione, anche se quando certe volte gli ho chiesto di fare qualche variazione nel repertorio dei miei studi, si è mostrato velatamente aperto ad alcune novità. In certi pomeriggi, quando mi trovo alle sue lezioni, mi chiedo se per caso lui nella sua gioventù non abbia mai affrontato, in mezzo a tutti i propri pensieri intorno alla musica, anche il problema relativo alla dissoluzione progressiva della tonalità, ad esempio; oppure se abbia indagato sul demone nascosto del tritono, sulla scomposizione inarrestabile della via armonica, ed infine riflettuto sulla dodecafonia e sulla pantonalità; o se invece abbia preferito concentrarsi sempre e comunque sull’interpretazione musicale delle pagine classiche, e quindi sulla sua rivalutazione, in ogni caso sempre attuale, nonostante tutto.
Rientra a casa mio padre, bussa alla porta della mia stanza per salutarmi, dice che stasera non ci sarà, andrà ad una delle sue cene di affari, e purtroppo saremo da sole a tavola, io e mia madre. Poi, dopo mezz’ora, torna ad uscire. Mi alzo, percorro il lungo corridoio ed entro nel salone: vado diretta al pianoforte ed alzo il coperchio con calma ed attenzione. Esiste un ambito di note, da suonare su di uno strumento come questo, che insiste su una scala esatonale, lasciandomi libera di scorrere a piacere con le dita sopra la tastiera, nella ricerca di un suono generale diverso dal solito, che quasi richieda una forma di ritmo per muoversi nel tempo in maniera più adeguata. Mi esercito, cerco gli accordi adatti da inserire sotto queste scale, ho letto da poco che con certi mezzi si accantona di colpo tutta la musica creata sui due modi classici, maggiore e minore, e questo mi piace, sembra sospendere improvvisamente una millenaria tradizione, e poi così si esalta qualcosa di diverso, si apprezza un materiale sonoro che difficilmente si riesce ad ascoltare tra tutta la musica che normalmente ci circonda. So che mia madre dal corridoio con ogni probabilità sta già ascoltando quello che suono e che provo in questo attimo preciso: forse proprio non le piace, o magari non le sembra troppo interessante; oppure, se magari si trovasse qui vicino a me, adesso potrebbe osservare le mie mani con la sua aria colma dei suoi forti pregiudizi, senza pronunciare neppure una parola; e se proprio volesse mostrarsi un po' più comprensiva di quello che quasi sempre appare alla mia vista ed alle mie orecchie, magari potrebbe accettare in silenzio ciò che ascolta, per sentirsi magari quasi appagata dalla mia evidente necessità di ricercare qualcosa che pare come sfuggire ad ogni facile opinione. Ed allora potrebbe proprio dirmi: <<brava>>.
Bruno Magnolfi