Prendemmo un’altra lampada e raggiungemmo, insieme al Sergente Piras, i soldati del picchetto: non si erano mossi, ci guardavano più increduli che spaventati. I fucili erano ancora a terra, e puntavano tutti verso la scala.
“Piras, tenete una lampada accesa e continuate a presidiare questo accesso. Da qui non deve passare nessuno. Io e Dettori saliamo con la seconda lampada. Se sentite urlare, scappate più veloci del vento e non preoccupatevi delle armi, intesi?”
“Tenente, forse dovrei salire io con Dettori…”
Uno sguardo, e il Sergente capì che doveva tacere. E io, che dovevo seguire Su Tenente, in quella scala verso l’Inferno.
Il lucchetto era sempre aperto, ma la porta faticava a muoversi sui cardini arrugginiti: spingemmo finché non si aprì su un locale avvolto da un’aria che sapeva di polvere e di ferro. Una stanza angusta, dominata da una finestra dai vetri sporchi ma intatti, malgrado le persiane pendessero sulla facciata come rami secchi.
Al centro, un tavolo con degli oggetti da ciabattino: un piccolo martello, qualche chiodo, altri utensili. E piantato al centro del tavolo, un coltello insanguinato.
Quel coltello aveva qualcosa di strano, lo notò anche Su Tenente.
“Guarda, Dettori: il manico è tutto impolverato, significa che non viene toccato da anni. Ma il sangue sulla lama… è fresco. Come se…”
“Come se fosse stato usato poche ore fa…”
In quel momento, una corrente gelida attraversò la stanza. La lampada si spense, la porta si chiuse di botto. Il clic del lucchetto sulla catena, passi sulle scale.
Un grido.
Un’esplosione.
La lampada al piano di sotto. Vicino alle munizioni.
“Su Tenente, le armi…. “
“Corri!!!”
Il Tenente mi spinse verso la finestra, mentre una lingua di fuoco saliva dal piano di sotto.
“Corri!”
Vetri in frantumi, senso di vuoto, le mani che cercano di artigliare l’aria, quindi l’impatto con la terra, l’erba che attutisce il colpo. Io e il Tenente ci ritrovammo avvinghiati, ai piedi di quella casa in fiamme.
Ci precipitammo verso la porta principale.
Piras e i due soldati erano fuori dalla porta, piegati sulle ginocchia. Bravo Piras, non aveva avuto il coraggio di disobbedire agli occhi del Tenente.
Eravamo vivi. Increduli, ma vivi.
Il Tenente non riusciva a staccare gli occhi da quella colonna di fuoco. “Va' a chiamare il Parroco, Dettori. Ci dovrà più di una spiegazione, su quello che è successo…”
Raggiunsi la canonica volando ma, altra cosa strana, il Parroco non sembrò troppo sorpreso di vedermi, e non fece storie quando lo buttai giù dal letto per portarlo dal Tenente, di fronte alla casa che bruciava.
“Non mi faccia perdere tempo, Reverendo. Mi racconti tutto… e non ometta nessun dettaglio”
“Tenente, io le posso raccontare per filo e per segno i fatti di questo Mondo. Ma su quello che succede nell’altro, di Mondo… beh, posso solo azzardare delle supposizioni”
“Cominci da questo Mondo, allora: perché è da questo Mondo che abbiamo rischiato di doverci congedare stanotte”
“Mah… i fatti sono molto semplici. In questa casa vivevano due fratelli, entrambi ciabattini. Al piano superiore avevano la casa e il laboratorio, in quello inferiore la bottega. Il più grande dei due tendeva a vessare il più piccolo: lo trattava come una specie di schiavo, per quanto fosse lui a mandare avanti l’attività; lo irrideva in pubblico; a volte, lo feriva con gli attrezzi da lavoro. Finché un giorno il fratello minore, per difendersi da uno di questi assalti, prese un coltello e ferì a morte l’altro.
Era un pezzo di pane, questo fratello minore. Pensi che tentò di soccorrere il ferito, chiamò aiuto, fece arrivare il medico e le guardie. Ma il fratello maggiore in punto di morte disse che il fratellino lo aveva accoltellato per rubargli l’incasso della giornata. Il poverino fu tradotto in carcere, e quando fu rilasciato era completamente pazzo. Morì suicida in questa casa, pochi mesi dopo esservi tornato.
Da allora… beh, siamo ai fatti dell’altro Mondo, Tenente.”
“Cioè?”
“Si dice che le anime dei due fratelli infestino questa casa, e che queste povere anime non avrebbero trovato pace finché la casa non avesse preso fuoco…”
“Allora è finita? Le anime adesso sono in pace?” Osai chiedere, sciogliendo il nodo che mi paralizzava lingua e stomaco.
“Forse sì, Caporale. Ma sono questioni dell’Altro Mondo…”
Riaccompagnai il Parroco in canonica, mentre Piras organizzava lo squadrone per riprendere la marcia.
Su Tenente, invece, non si era mosso: paralizzato di fronte al rudere carbonizzato.
“Tenente… dobbiamo andare”
“Non ancora, Dettori. Anche se temo di avere capito…”
“Andiamo, Tenente. L’Altro Mondo, a quanto pare, ci ha giocato un brutto tiro: dobbiamo ringraziare di essere ancora vivi…”
“Sì Dettori. Abbiamo sconfitto il Passato. Stanotte temo di avere capito che non avremo la forza di sconfiggere il futuro: anche quando arriverà il momento di sparare”
E perse un altro sguardo di ghiaccio, tra le ultime fiamme dell’incendio morente.
Allora non lo capivo, quello sguardo de Su Tenente. Non capivo che quello sguardo aveva la capacità di leggere il futuro: due fratelli in lotta, il buono che uccide il cattivo, il cattivo che danna l’anima al buono, una casa in fiamme.
Avrei capito solo quando sarebbe arrivato il momento di sparare ai Tedeschi. Quando lasciai la Sardegna per unirmi alla Resistenza al Nord. Quando i partigiani decisero di salvare la casa sparando ai fratelli che avevano scelto la camicia nera; quando i fratelli bastardi maledissero i fratelli buoni con l’anatema “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”; quando la dannazione di chi aveva combattuto per la libertà fu perpetrata dalla stagione delle bombe e dalle stragi, dal grido di dolore di un Paese in fiamme.
Un Paese in fiamme.
La casa in fiamme.
Anche a quella stagione sono sopravvissuto. Ma ora che la Morte sta per raggiungermi, nel caldo del mio letto, penso che, a differenza delle anime che vagavano tra quelle due stanze di Oristano, per le nostre anime, per le anime dannate di questo Paese, la pace sia impossibile da trovare.
Io allora non lo capivo, l’ho capito con vent’anni di ritardo. Io non lo avevo capito, ma su Tenente forse sì: aveva capito che la casa che avremmo costruito col sangue sarebbe stata condannata a bruciare nel fuoco della bugia, aveva capito che per le nostre povere anime di combattenti non ci sarebbe stata redenzione. Il Futuro ci ha sconfitto: l’immagine di questa sconfitta era già chiara allora, nello sguardo di Su Tenente.