Era importante? “No” - pensò.
Bussò alla porta con il battaglio della stessa forma dell'anello sulla colonna. La porta si aprì.
“Entra!” Lanuv non era affatto sorpresa, ma Endran titubò.
“Mio padre è in battuta di caccia. Un branco di topi miagolanti sta distruggendo le messi giù, oltre le basse colline trasparenti e così ha organizzato una posse per eliminare la minaccia. Mi madre è da mia sorella, sulla sponda opposta del mare: tre giorni di navigazione. Il tuo naso non è in pericolo, (risero insieme) siamo soli. Sia però chiaro: ciò non ti induca a ritenere che io sia quella che pensi ora ed abbia comportamenti nei tuoi confronti come allora!” - precisò.
Era splendente quando assumeva un atteggiamento severo. La sua pelle rossa si scuriva.
“Peccato!” pensò Endran.
Anni prima durante l’importante gara annuale di inizio estate che vedeva protagonisti i più abili tornitori dei tre regni, si incrociarono dapprima i loro sguardi poi la carne ed i fluidi seguirono per gravità.
Lanuv vinse la competizione realizzando il cilindro più alto, con la medesima quantità di argilla degli altri concorrenti.
Endran ne fu subito colpito: la grazia e la forza, la sapienza e la maestria lo attraevano.
Lanuv si accorse, senza farne mostra, di quell’umano e non gli tolse gli occhi di dosso sino al termine della gara.
Poco dopo la premiazione, si trovarono appartati in casa di lei. Non occorsero parole.
Il sidro resinato spiegava i propri effetti.
Gli legò le mani alla testata del letto, si sedette sopra di lui e lo cavalcò in silenzio, l'apice dei seni come arilli di melagrana eretti e rossi.
Gli liberò le mani e si addormentarono abbracciati.
Di soprassalto, li svegliò Rouam a suon di frustate ed urla che neppure dalle bocche delle Erinni si erano mai udite.
Endran scappò nudo con i segni della furia sulla pelle tra risate, sputi e bruciature e da allora non si presentò più al villaggio.
“Io so perché sei qui” esordì lei, con gli intensi occhi fissi nei suoi, sedendosi di fronte a lui. “Lo so da quel giorno in cui ti insinuasti tra i pori della mia pelle rossa.”
Lo zittì prima che lui aprisse bocca, con un dito alzato.
“Io ero predestinata a divenire la guida del villaggio, così come lo era stato mio padre. Il mio dovere era essere d'esempio agli altri elfi e uno dei nostri dogmi maggiori proclama che non si mescolino tra loro i generi: elfi con elfi, umani con umani. Per te infransi la regola fondamentale; non per sfida o per il solo piacere della carne, né per curiosità, semplicemente mi piacevi, lo sentivo. Ci piacevamo. Nessuno prima mi aveva dato tanto nel tempo di una notte, tuttavia capii la tua immaturità nell'affrontare la vita. - il cavaliere alzò gli occhi, che dentro di sé teneva bassi, consapevole della verità di quelle parole - Tu non la affronti la vita: la poni da parte, dopo averla usata. La tua armatura d’alluminio magico delle cuoche giganti del regno dei Cheferti, l'hai lasciata appesa alle stampelle per farla dimenticare, anche alla polvere. Eppure è speciale, Endran."
Il principe sospirò, serio. “Ogni tua impresa, positiva o negativa che sia vi è scritta, sia che tu la indossi o meno. Non che sia solo responsabilità tua, perché l'educazione ha impresso una notevole spinta: conosco il tuo sconforto, Endran”, così dicendo gli prese una mano tra le sue. "Mai una gratificazione, mai una pacca sulle spalle, solo critiche aspre cui rispondevi con compiacenti comportamenti per ottenere normali attenzioni amorevoli che un figlio, benché non pretenda, tuttavia si attende dai propri genitori. E anche la formazione cavalleresca ha reso ancor più insicuro il tuo vivere; dapprima, per compiacere altri al fine di ottenerne le attenzioni, poi per aiutare altri per rispetto dell’ordine cui appartieni e ne hai assorbito il dolore, trascurando te stesso, il tuo dolore e la tua felicità. Ed ora che non hai più nulla che possa ingannarti, percepisci la tua mancanza di solidità, la tua carenza di amore per te stesso, e ti senti vacuo come una vescica di vacca dopo lo scarico del piscio - un abbozzo di sorriso -E così ritorni al passato per sentirti ora come allora, perché vuoto è il tuo presente. Io non ho la cura per il tuo malessere”.
Il silenzio prese la parola per qualche attimo.
“Credo che tu abbia ragione, ero escluso più che accolto, perché c’era sempre qualcosa più importante di me, persino la forma delle nuvole all'orizzonte lo era. Credo che mia madre non mi abbia mai perdonato di averla salvata dal tentativo di suicidio, non se ne è mai parlato, ma lo sento. Subisco sempre il fascino di persone particolari delle quali percepisco l'aspetto più negativo che positivo: la figlia del fabbro, con la bruciatura sul viso e calda come la fornace del padre, il figlio del fornaio che voleva essere donna, la moglie del fruttivendolo era insaziabile. E poi la zingara dai seni enormi, senza famiglia, senza progetti, senza costrizioni, solo puro istinto animale. La navigante che giunse al porto dai mari estesi oltre lo scoglio di giada, che adorava che la accarezzassi con foglie d’ortica, la donna d’ebano che mi conficcava punte di rosa nei capezzoli. Le gemelle lottatrici prediligevano i pugni, e ancora il ballerino eunuco dalla lingua vorace.
Tu, la prima di un genere diverso. Tutti nel cuore, tutti nel passato che vorrei fosse presente per colmare i miei buchi”.
Lanuv sorrise. Oltrepassò il tavolo che li divideva e lo baciò, nel profondo.
Si spogliarono a vicenda, con impacciata fretta. Lui si stese supino sul tavolo. Lei sopra di lui, teste opposte. Non se lo ricordava così imponente. Gli elfi hanno altre dimensioni. Lui non se la ricordava così profumata: malva e gelsomino.
Poi occhi negli occhi lei si avvolse a lui che di lì a poco pianse tra le carezze di lei.
Fu un addio dolcissimo.
Uscì dalla porta.
Ariel era pronta a cavalcare verso un futuro imperfetto privo del passato, affinché il suo cavaliere ritrovasse il sorriso.
Ora, a casa di Lanuv:
“Mamma, chi era quell’umano a cavallo?” chiese la ragazza di quindici anni dagli occhi grigio verdi.
“Un caro vecchio amico, un cavaliere, del quale un giorno ti racconterò la storia. Della sua fragile armatura d'alluminio e della polvere che ne offusca la lucentezza”.