L’acqua era fresca e avvolgente e sembrava lo stesse aspettando.
Nicola non era un gran nuotatore e, soprattutto, non riusciva a capacitarsi di come, una volta in mare, le distanze sembravano allungarsi. Nondimeno nuotava, godendosi il sapore del sale sulle labbra e strizzando gli occhi nella luce radente.
Percorse l’ultimo tratto con bracciate impazienti, rabbiose, sollevando una nuvola di spruzzi.
Quando toccò la superficie oscillante della zattera era senza fiato, le gambe che mulinavano frenetiche come atterrite dal fatto che, sotto, non ci fosse nessuna superficie cui appoggiarsi.
Alla fine riuscì a issarsi, quasi strisciando, come un pesce primitivo che si avventura incerto sulla terraferma.
La ragazza lo guardò e sorrise. I suoi occhi erano davvero blu.
«Non lo credevo possibile» ansimò Nicola.
Era vero.
Non era possibile perché quell’istante era più labile dei riflessi del sole sulle onde e, nel futuro, ogni ora sarebbe stata un rimpianto di quella.
Non era possibile perché quel momento avrebbe dovuto essere l’unico, l’ultimo, l’estremo, e solo così sarebbe stato perfetto.
Non era possibile perché…
«Perché non potrà mai essere meglio di così» concluse la ragazza e parve offrirsi a lui quando Nicola fece scorrere le mani lungo i sui fianchi...
Anche se l’aria si era raffreddata, l’acqua era ancora tiepida e sciaguattava monotona contro il bordo della zattera.
Le correnti, però, erano cambiate e ora si dirigevano verso il largo.
Nicola avrebbe fatto fatica a raggiungere la riva dove lo aspettavano domande, risposte, silenzi, pianti, urla, minacce, rabbia, odio, disperazione.
E soprattutto spiegazioni, tante spiegazioni.
Quel che era peggio sarebbe stato uno sforzo inutile.
Nessuno avrebbe capito che non poteva essere meglio di così.
Sì, sarebbe stato alquanto faticoso nuotare fino a riva, si disse Nicola calandosi in acqua.
Tanto valeva dirigersi dalla parte opposta.
«Sentite, i bagni erano chiusi e non c’era ragione perché me ne stessi lì a vedere che cosa combinava quel tale. Mica aveva otto anni. E poi, secondo me, quello se l’è filata e basta».
«Hai qualche ragione particolare per dirlo?».
Ercole esitò. Nella luce fredda del neon, dentro la caserma, sembrava ancora più abbronzato: un pezzo di legno annerito ed essiccato. I capelli, ispidi e candidi, parevano fatti di sale.
«Non avrò mica dei problemi, no?».
Il maresciallo negò sorridendo e gli allungò una sigaretta, come per rassicurarlo.
«Be', c’era il fatto che avrebbe dovuto andarsene da un pezzo, ma ogni volta rimandava. “Me ne vado domani, no fra due o tre giorni”… cose così…».
«Ma c’è dell’altro, vero? ».
«Sono quarant’anni che faccio questo lavoro e, dopo un po’, uno certi tipi li capisce al volo, i mariti in vacanza, per esempio. Ma anche per lei è così, no?».
«Insomma si dava da fare».
Il vecchio bagnino scosse la testa prima di rispondere. «No... se ne stava lì fino a sera, anche quando cominciava a far fresco, e guardava il mare. Era come…».
«Assente?».
Ercole esitò di nuovo. «No» disse «no, era come… in attesa… sì, come se aspettasse qualcuno. Io però non ho mai visto nessuno».