Anche il bacio ha un suo linguaggio. Anna lo capì quella mattina, quando il richiamo di un gesto così intimo, nell’ indecente ordinarietà di una coppia di amanti, invece di unire allontanava. Erano bastati pochi secondi per farle intuire che qualcosa non andava.
Le labbra dell’uomo che ha accanto sembrano schiudersi come promesse che non saranno mai mantenute, ne seguono la traiettoria, replicano la stessa inconsistenza. Un brivido la fa scostare. Lui rimane in silenzio, già arreso all’ineluttabilità di ciò che deve succedere. Non la tocca, non parla, non cerca di riavvicinarla a sé. Si limita a guardarla mescolando disagio ad imbarazzo. Il bisogno di contatto, così urgente fino a qualche giorno fa, affonda davanti a una realtà che invece di aggiungere toglie. Dentro di lui spera che sia così arguta da anticiparlo, da portarlo via dal pudore di dover giustificare una scelta che, in fondo, non aveva mai messo in discussione.
…e Anna ha capito. Dovrebbe guardarlo ma proprio non ce la fa; fissa qualche particolare inutile: il parabrezza opaco della macchina, una macchia sul sedile mai andata via, la stoffa del suo vestitino che, adesso, le appare insopportabilmente rosso. Sa che deve dire qualcosa, il momento le chiede, ancora una volta, lo sforzo di imbrigliare le proprie emozioni per fare spazio alla verità, una verità che solo lei si ostinava a non vedere.
Sospira.
-Tu, non lascerai mai tua moglie– sussurra con voce incerta. Non c’è traccia di rimprovero, né rabbia nelle sue parole. La delusione porta in sé il seme della resa, di un tipo di stanchezza a cui viene negata anche la speranza di andare oltre le spiegazioni inutili.
-Ti amo ma…Non sono un uomo coraggioso- lo dice con un sorriso che ad Anna appare insulso, quasi volgare. È una frase ambigua (una delle tante) che la mette nelle condizioni di doversi fare carico di un’infelicità di cui sarebbe l’unica responsabile.
La girandola di fotogrammi di questi anni, il peso delle parole spese per convincerla che il futuro apparteneva al loro amore la fanno precipitare nelle ortiche. Carlo ha figli grandi, una moglie che ha sempre descritto come fredda, inaffidabile, frivola. Carlo ha cinquant’anni e le ha sempre detto che era preziosa, importante, l’unica donna con cui voleva davvero stare. Carlo ha un’anima pura e…Non conta più tutte le volte che le ha chiesto pazienza. -Dammi ancora un paio di mesi, sistemerò tutto - la implorava, con le lacrime agli occhi, negli scampoli di tempo passati ad amarsi.
E Anna aveva aspettato, resistendo ai venti di chiamate interrotte all’improvviso, alle maree di appuntamenti disdetti all’ultimo minuto, alle tempeste di weekend interminabili vissuti come se le avessero svuotato l’anima. Si fidava di lui, credeva nel loro amore. E ora….
-Non mi vedrai mai più- dice Anna mentre i suoi occhi cercano una via di fuga e, nello stesso tempo, un contatto che gliela impedisca. La mano sulla portiera e le gambe rigide rendono i suoi movimenti goffi, sgraziati.
Il silenzio, assordante , non ha ha bisogno di essere spiegato con altre parole.
Lui deglutisce. Cosa diamine deve fare? E' attratto da lei, forse perfino innamorato ma non al punto da abbattere, come un muro pericolante, anni e anni di sacrifici. È vero, i suoi figli non sono più piccoli ma il peso del loro giudizio continua a condizionare le sue scelte. Senza pensare che il benessere economico, raggiunto con tanta fatica, subirebbe una battuta d’arresto importante. E se poi si fosse stancata? A che tipo di vecchiaia andrebbe incontro? Dopo tutto sua moglie rappresenta una garanzia, una sicurezza per gli anni a venire. Non e' disposto a rischiare che la sua nave prenda il largo verso mari incerti. E' troppo, perfino per un navigatore esperto come lui.
Sua moglie, dopo aver scoperto quei messaggi, gli aveva vomitato addosso un girone infinito di colpe e mancanze. Carlo era stato zitto; aveva giurato che non c’era mai stato nulla, implorato il perdono, aperto un dialogo disperato, fatto leva sulla complicità che c’era tra loro, ricordato l’amore che li legava ai figli.
No, doveva essere Anna a fare un passo indietro.
-Possiamo rimanere amici- dice con studiato distacco, dopo aver richiamato alla memoria il terrore provato alla possibilità di rovinare davvero tutto. Anna sullo sfondo è una figura sfocata, piccola, lontana. Sente di poterne già fare a meno. Nessuna cautela le è più dovuta.
Lei lo scruta con disprezzo. Per un attimo chiude gli occhi, vuole proteggersi dalla disarmonia della frase che ha appena sentito.
-Amici, dopo tutto quello che c’è stato? – ripete incredula. Questa volta la voce trema. Non è più una donna ma una bambina che chiede al padre disfunzionale perché ha smesso di amarla così presto.
Carlo la guarda, imponendo a sé stesso una calma che non ha più.
-Non mi odiare – dice. Nessuna delle frasi appare collegata alle domande a cui deve rispondere, l’urgenza di chiudere il cerchio lo rende incapace di quel minimo di empatia che gli riusciva così bene simulare.
Anna trova la forza di reagire, di fare appello a quel briciolo di dignità che le è rimasta; con uno scatto è fuori dall’auto. Si dirige a piedi lungo la strada, la sua andatura è moderatamente veloce: desidera disperatamente che lui la fermi. Dieci, venti, quaranta, sessanta passi ma…Nessuno la riconcorre, le intima di non andar via. Dietro di lei cala semplicemente il sipario insieme alla consapevolezza che la vita non è un film romantico dove c’è sempre un lui che insegue lei. Spesso, nella scena più triste, ci rimani incastrata a lungo.
Carlo appoggia la testa al sedile. Vorrebbe provare qualcosa in più del banale dispiacere ma il sollievo è l’unica emozione che riesce a distinguere in modo chiaro, immediato. Non si muove, arriccia le labbra, da un veloce sguardo allo specchietto retrovisore; il riflesso di lei che svanisce come in un sogno gli provoca una lieve vertigine ma, è solo un attimo.
Rimette in moto l’auto, non ha tempo per i rimpianti: tra meno di un’ora ha un appuntamento con l’agente di viaggi. Il Kenya è la meta che lui e la moglie hanno scelto per dare una seconda possibilità al loro matrimonio.