Parte 4: La maledizione
M. ascoltava, un brivido di disagio serpeggiante lungo la schiena. Quella che un tempo poteva sembrare una semplice leggenda di follia si era trasformata in un incubo palpabile. F. parlava di figure spettrali e ombre inquietanti che si radunavano nella chiesa di notte, tessendo una trama di terrore attorno al villaggio.
Raccontò di una notte in particolare, quando un grido straziante aveva squarciato il silenzio: un urlo disperato che lo aveva spinto ad avvicinarsi ed a spiare da una fessura della porta. Attraverso quella fessura, vide un cerchio di persone incappucciate attorno a un altare, con una presenza enorme e informe che si agitava nell'oscurità dietro di loro. I suoi occhi, ardenti come carboni in un fuoco eterno, brillavano di un male ancestrale.
D'un tratto F. si fermò, il suo sguardo perso nel vuoto, mentre la voce tremava: "Intra muros sancti loci, sub ara tenebris consecrata, vir innocens inferis sacrificatur ut imperium et potestas augeantur." Le parole risuonavano come un incantesimo, impregnando l’aria di una forza sinistra. Poi, con una voce che tremava di emozione, tradusse: "Nelle sacre mura, all'ombra dell'altare oscuro, un innocente è offerto agli inferi, per accrescere il dominio e la forza."
Quando tentò di denunciare quanto aveva visto, la sua verità fu schiacciata dalla folla. Dichiarato pazzo, fu rinchiuso, ma la certezza di ciò che aveva vissuto lo consumava. "Non dovevo mai tornare qui," confessò, con la voce rotta da un dolore profondo, "la maledizione è su di me. Sono legato a questo posto, come un prigioniero della mia stessa storia. E ora, anche tu sei intriso di questa oscurità."
Le sue parole si posavano nella stanza come un presagio, un avvertimento per M., il quale si sentiva risucchiato in un vortice di terrore e mistero. Il peso della maledizione non era solo un'eredità di paura, ma una catena invisibile che minacciava di legarlo al destino di F., come un eco di un passato che non poteva essere ignorato.
Parte 5: Indizi oscuri
Nonostante le parole inquietanti di F., M. si sentì spinto da una curiosità inarrestabile, mescolata a un timore profondo. Quella sera, tornò alla chiesa, un antico colosso che dominava il paesaggio circostante. Situata al centro di una piccola piazza di pietra, la chiesa si ergeva come un guardiano silenzioso del villaggio, testimone di secoli di storie e segreti. Le sue mura, costituite da blocchi di pietra grigia, mostrano il segno del tempo e degli agenti atmosferici; crepe profonde solcavano la facciata, mentre l’edera rampicante si arrampicava sugli archi gotici, conferendo all'edificio un aspetto ancor più lugubre e misterioso.
Il campanile, alto e appuntito, si stagliava contro il cielo, annerito dalle intemperie e ricoperto di muschio. Le campane, pur arrugginite, sembravano pronte a suonare in momenti di grande importanza, richiamando alla mente antiche cerimonie dimenticate. Le finestre a ogiva, offuscate da vetrate sporche e crepate, riflettevano debolmente la luce del sole al tramonto, somigliando a occhi ciechi che osservavano in silenzio il mondo esterno.
Ai piedi del campanile, il piccolo cimitero adiacente si presentava come un groviglio di lapidi antiche, inclinate e spesso ricoperte di erbacce, testimoni di una cura ormai perduta. Croci di ferro battuto, arrugginite e piegate, si mescolavano a quelle più robuste, che emergevano fiere tra le tombe dimenticate, conferendo al luogo un’aura di abbandono e desolazione.
M. osservava la chiesa da lontano, percependo un'atmosfera opprimente. Non era solo la decadenza dell’edificio, ma qualcosa di più profondo, come se le mura custodissero un male antico e tangibile. I corvi, posatisi sul tetto, gracchiavano con richiami sinistri, e le ombre proiettate dal sole al tramonto sembravano assumere contorni inquietanti, quasi umani.
Avvicinandosi, M. notò che le porte principali della chiesa, realizzate in legno massiccio e rinforzate con bande di ferro, erano chiuse e parevano non essere state aperte da anni. Sulla pietra sopra l’ingresso, si intravedevano simboli scolpiti, consumati dal tempo, evocando antiche pratiche religiose o esoteriche. Una sensazione di freddo gli penetrò le ossa, nonostante la giornata fosse mite. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella chiesa, come se appartenesse più al regno dei morti che a quello dei vivi.
Spinto da un impulso irrefrenabile, entrò nell’edificio, trovandosi immerso in un buio gelido, dove le pareti sembravano trasudare un’atmosfera opprimente. Gli affreschi antichi adornavano le pareti, raffigurando serene scene bibliche, ma un'ombra si nascondeva in un angolo logoro. L’intonaco danneggiato rivelava uno strato sottostante. Incuriosito, M. raccolse una pietra e iniziò a grattare via l’affresco. Man mano che rimuoveva i frammenti di colore, ciò che emergeva lo fece rabbrividire. Al centro della pittura appariva una figura demoniaca, con occhi ardenti come fiamme, circondata da simboli sinistri: croci rovesciate, pentacoli e altri segni profani, come a testimoniare un culto oscuro e dimenticato.
Proseguendo la sua esplorazione, scoprì un altare nascosto, decorato con simboli arcani. Al centro dell’altare, un libro antico, coperto di polvere, si apriva su pagine che riportavano strani testi in una lingua indecifrabile. Il suo cuore batteva forte mentre sfogliava quelle pagine, le illustrazioni rivelavano figure umane offerte in sacrificio a un’entità mostruosa, un demone dalle ali nere e occhi incandescenti. Sospirò, avvertendo di nuovo quel peso sul petto, come se la presenza stessa del demone lo stesse osservando.
Fu allora che vide qualcosa muoversi nell’ombra della navata. Una figura alta e distorta, con occhi ardenti che brillavano nel buio. Non era umana. M. si irrigidì mentre la creatura avanzava lentamente verso di lui, il terrore lo divorava. Uscì dalla chiesa correndo, consapevole che ciò che F. aveva raccontato era reale: il villaggio serviva un’entità malvagia, e ora lui ne era diventato parte.