III
Avevo passato l'intera notte a riflettere su come avrei gestito un’indagine in cui il principale testimone era la riproduzione digitale della vittima, una creatura nata dall'intelligenza artificiale. Non era certo una situazione che si affronta ogni giorno e il pensiero mi assillava come un tarlo. Le parole del mio capo rimbombavano nella mia mente: “Giorgio, prenditela tu questa grana. Con la tua esperienza, se qualcuno può risolverla, sei tu. E se, per miracolo, trovi anche l’assassino, ti stenderemo un tappeto rosso per quando torni in commissariato.”
Sembrava quasi una sfida lanciata con cinismo, un compito impossibile da affrontare. Eppure, in quel momento, sentivo che questa indagine avrebbe potuto segnare un punto di svolta nella mia carriera. Non potevo fallire.
Mi vestii con i primi abiti che trovai, inghiottii una rapida colazione mentre il caffè caldo mi scaldava la gola. Non avere né moglie né figli facilitava la mia vita professionale; mi permetteva di focalizzarmi interamente sul lavoro, senza distrazioni personali. Ma a volte, quella libertà si rivelava una lama a doppio taglio, e la solitudine si affacciava minacciosa, ricordandomi che non avevo nulla su cui contare al di fuori del lavoro. Ma non era il momento di pensarci. Oggi dovevo immergermi in un caso senza precedenti.
Quando arrivai nei laboratori, l'ologramma di Giuliano mi aspettava. Sebbene fosse solo una proiezione, c'era una strana tensione nell’aria, come se l’essere virtuale fosse agitato, irrequieto. Forse era un riflesso delle emozioni che un tempo aveva provato, un’eco digitale del suo desiderio di comprendere cosa fosse successo alla sua vita, chi l’avesse strappata via e perché.
Mi avvicinai al dispositivo che proiettava la sua immagine e lo osservai. Era inquietante e affascinante allo stesso tempo. Non era più un uomo, ma in qualche modo sembrava ancora averne la volontà. Sembrava quasi che potesse percepire la stessa sete di verità che avevo io. “Giuliano,” dissi, la voce carica di determinazione, “oggi cominciamo davvero. Preparati.”
Prima di arrivare lì, ero passato dal commissariato, dove avevo preso un faldone spesso, stracolmo di informazioni su di lui: i suoi documenti, le sue foto, tutto ciò che era rimasto della sua vita reale. Quel fascicolo sarebbe stato la base su cui avremmo costruito l’indagine.
Iniziai a sfogliarlo, sentendo il peso delle responsabilità gravare sulle mie spalle. Non stavo cercando solo un assassino, ma la risposta a una domanda inquietante: era possibile che un simulacro digitale potesse davvero aiutarmi a risolvere un caso? E se sì, quale giustizia avrebbe potuto trovare una vittima che non esiste più nel mondo reale?
L’ologramma di Giuliano mi guardava fisso, e anche se non aveva occhi veri, il suo sguardo sembrava carico di aspettative. “Cominciamo,” dissi, più a me stesso che a lui, cercando di infondere nel mio tono una certezza che non provavo del tutto.
IV
Giorgio aprì il faldone, e uno alla volta, i volti e le storie dei sospettati scorrevano davanti a lui. "Questi sono i principali indiziati," annunciò, il suo tono grave caricava l’aria di una tensione palpabile.
Il primo a emergere fu Luciana, mia moglie. Il suo volto apparve sullo schermo, e mi colpì come una frustata al cuore. La rividi come un tempo, con quello sguardo dolce e affettuoso che aveva sempre riservato a me. Luciana non era mai stata una donna rancorosa; al contrario, era la più premurosa e paziente che avessi mai conosciuto. Ma qualcosa era cambiato. Qualche anno fa, una frattura silenziosa si era insinuata tra noi, senza spiegazioni. Si era ritirata in un mondo muto che non riuscivo a penetrare, e i suoi occhi, un tempo pieni di calore, erano diventati due profonde voragini di distanza. Giorgio continuò: "Forse ha sopportato troppo a lungo. Tra voi c’era una tensione latente, e l’eredità, la casa... potevano essere ragioni sufficienti."
Esitai a rispondere. Certo, c’era stata una crescente distanza, ma Luciana? Poteva davvero lei, con la sua delicata sensibilità, aver preso una decisione così drastica? Eppure, il dubbio si insinuava nel mio cuore come un serpente velenoso.
Il volto successivo era quello di Marta, la collega con cui avevo intrecciato una relazione. Il suo sguardo era deciso e penetrante, e la memoria mi riportò a quegli attimi di pura attrazione, mescolati a tensioni insostenibili. Giorgio proseguì: "Marta era stanca di aspettare. Voleva che lasciassi Luciana, ma tu rimandavi continuamente. Le sue pressioni ti irritavano al punto da farti esplodere in scatti d’ira."
Sentii una stretta al petto. È vero. Marta non si accontentava di mezze misure, e ogni volta che il discorso si spostava sul nostro futuro, l’ansia cresceva in me fino a esplodere in frustrazione. Quelle discussioni, le sue domande insistenti, le sue pretese mi strangolavano. E io reagivo male, troppo male. Ma Marta... era possibile che avesse preso in mano la situazione in modo così estremo? Forse, esasperata, aveva deciso di agire per entrambi, rendendosi conto che io non avrei mai avuto il coraggio di liberarmi da solo.
Poi apparve il volto di Carlo Denadai, il mio capoufficio. Giorgio sospirò e aggiunse: "C’è di più di quanto pensassi, Giuliano. Scommettevi per conto suo, e nell’ultima occasione, hai perso una somma considerevole. Da quel momento, il vostro rapporto è diventato teso, e lui ha cominciato a considerarti responsabile."
Rimasi impietrito. È vero, scommettevo per Carlo, un "accordo" tacito tra noi, ma non immaginavo che quelle perdite avessero lasciato un segno così profondo. Avevo notato uno sguardo diverso nei suoi occhi, ma Carlo... era una persona pacata. Aveva covato rancore al punto da volersi vendicare? Forse non si trattava solo di soldi, ma di reputazione, una questione di orgoglio. L’idea mi sembrava assurda, eppure mi metteva a disagio.
Infine, comparve il volto di Giovanni Spadafora, lo strozzino. "Gli dovevi una somma considerevole," spiegò Giorgio, "e le tue perdite stavano diventando insostenibili. Non si può permettere di perdere credibilità tra i suoi altri debitori."
Con Giovanni la situazione era diversa. Sapevo come ragionava; per uno strozzino come lui, perdere un cliente era un colpo, ma perdere il controllo sui debitori era inaccettabile. Conoscevo il suo tipo: uno che non si fermerebbe davanti a nulla per salvaguardare la propria autorità. Un segnale per gli altri? Un’ipotesi estrema, ma nella sua logica, potrebbe avere senso.
Giorgio chiuse il faldone e mi fissò. "Ora conosci i sospettati, ma solo tu conosci davvero queste persone. Solo tu puoi aiutarmi a capire chi potrebbe essere stato."
Rimasi in silenzio, Luciana, Marta, Carlo, Giovanni... ognuno di loro aveva un motivo. Ma chi aveva deciso che la mia vita doveva finire?