Le nebbie alcoliche della notte vennero dissipate da un intenso, avvolgente aroma di chicchi tostati. Con gli occhi ancora chiusi e il cervello che galleggiava in una vasca bluastra di etanolo, l’olfatto fu in grado di creare una serie di collegamenti neurosinaptici sufficientemente articolati da dar vita all’immagine di una tazza fumante di caffè. Nero, amaro, bollente.
Aveva sempre amato svegliarsi cullato dal profumo di caffè che permeava la stanza e dal borbottio roco della moka: l’acqua che si scalda, la pressione del vapore che la spinge attraverso il blend macinato, il suono della caffettiera che da sibilo si trasforma in fischio… e la magia del liquido nero, lievemente schiumoso, dal profumo intenso e dal sapore amaro che sgorga bollente dal beccuccio.
Una mano tra i capelli, una carezza; e un lieve bacio sulla tempia: «Buongiorno dormiglione… - una calda voce si fece largo nella coscienza che si risvegliava – Forza, alzati, che la colazione è pronta. Ti verso il caffè».
«Buongiorno» si sentì rispondere, borbottare con la voce ancora impastata dal sonno. Si alzò – addosso, la solita maglietta di Batman – camminando in equilibrio precario sulla fune sottile che unisce la gioia del caffè al tipico disagio che lo attanagliava al mattino ogniqualvolta formalizzasse la necessità di doversi alzare. Un brivido e un ‘fanculo al mondo, nel momento in cui fuoriuscì dal tepore del piumone immergendomi nella vita.
In cucina, la colazione era pronta: odorò il profumo del pane abbrustolito sulla padella, del formaggio fuso, del caffè che lo attendeva, fumante, in una grande tazza rossa con il manico. Lei gli sorride, accogliente, addosso una corta camicia da notte color avorio, i piedi nudi, appoggiati sulla seduta della sedia, a mostrare, in tutta la loro sensualità, un paio di lunghe, eccitanti, invitanti gambe… e anche qualcosa di più.
Il cervello basso ricevette una scarica di testosterone, risvegliandosi ben prima di quello alto. Per quello sarebbero occorsi ancora una manciata – abbondante – di minuti, quelli necessari a bere il caffè. Che sorseggiò immerso nel silenzio della cucina. Lei, accanto a lui, nel frattempo mangiava con il cucchiaino un kiwi maturo – il suo pieno mattutino di vitamine, lo chiama – intenta a leggere le notizie in loop del ticker che scorreva sulla parte inferiore del monitor della televisione in mute.
«C’è il sole» constatò lui dopo molti minuti di silenzio.
«Già – rispose lei –: più tardi potremmo andare a fare una passeggiata, magari anche andare a pranzo in quel nuovo ristorantino così joli che hanno aperto a Montmartre tra Saint-Pierre e Place du Tertre.»
«Basta che non mi costringa a farmi fare il ‘solito’ ritratto da uno di quei vecchi imbrattatele» le risposi sorridendo e indicando la parete ricoperta da ritratti a tempera, olio, china, acrilico, gesso e acquerello che ritraevano lui, lei, loro. E una schieleiana morte con fanciulla.
Rise, e la sua risata ebbe il potere di creare un collegamento prepotente tra il cervello alto e quello basso. Eccitato, il tizio si voltò verso di lei, le afferrò il mento con la mano sinistra e la baciò. Si baciarono. Intensamente. Poi la prese per mano e, senza smettere di fissarsi, si diressero in camera...
Quando il tizio riapri gli occhi il display della sveglia indicava le dieci. Da fuori proveniva l‘intenso ticchettio della pioggia che batteva sui vetri della finestra. Il letto era freddo e vuoto. Nell’aria ancora un lieve, flebile aroma di caffè. Ormai freddo e schifoso, pensò. Si alzò, entrò nella cucina vuota e, imprecando, rovesciò tutto il contenuto della moka elettrica programmabile nel lavello.
In bocca, un gusto acre-amaro, in testa, quella sensazione di vuoto che lo prendeva solitamente al mattino, quando i sogni morivano e gli incubi prendevano vita.
Nella stanza era rimasta solo la morte, della fanciulla non v’era più traccia.
Aprì il frigo e prese una lattina di birra.