Siamo sul taxi diretti verso un ristorante di lusso a Mosca, l’invito arrivato poche ore prima da un vecchio cliente di Marco. Gli piace frequentare persone ricche e potenti, ostentando una ricchezza che non gli appartiene davvero.
Arriviamo al Beluga a pochi passi dal Cremlino e la sua eleganza è subito evidente. La facciata imponente, colonne di pietra e lampadari scintillanti.
Marco si presenta alla reception, il Maitre ci accoglie in inglese formale e ci conduce al nostro tavolo dove Alexander è già seduto con altre tre donne.
“Piacere di rincontrarla, Roberta” mi dice Alexander, prendendomi la mano. Il suo fascino è evidente. Mi presenta prima di tutto sua moglie.
“Lei è Olga” una donna alta e slanciata con un trucco marcato e un fare sicuro come fosse una regina. Detesto quella forma di arroganza, specialmente considerando che è solo la terza moglie.
Mi siedo accanto a Marco, che inizia a parlare con il suo inglese impreciso, utilizzando gesti plateali che sembrano divertire l’intero tavolo.
Arrivano i menù, e con un groppo in gola, noto che ogni piatto costa almeno cinquanta euro. Chiedo un antipasto di tartare al salmone e una grigliata mista per secondo.
Olga richiama la mia attenzione presentandomi le sue amiche “Loro sono Anastasia e Irina” che però parlano poco inglese così le saluto con un cenno della mano e un sorriso cortese.
Intanto non posso far ameno di ascoltare Marco, che si vanta di come abbia convinto un cliente ad accordargli il 6% di commissione, più di qualsiasi altro agente. La cena si trasforma così in un trionfo delle sue gesta.
Lui è entusiasta, anche se a tratti appare finto, come se cercasse di riempire un vuoto interiore che il denaro e i successi non possono colmare. Dopo aver raccontato un aneddoto della sua vita, si rifugia in un bicchiere di vino e lo vedo, quel sorriso che piano piano scompare diventando una linea sottile e il mio cuore si fa pesante.
“Non credi di aver bevuto abbastanza?” domando sottovoce al suo orecchio ma lui sorride con le sue guance rosse dall’alcol, mi guarda confuso e dice: “Non lo vedi quanto mi amano? Loro mi capiscono, non come te”. Mi allontano, inorridita. Vorrei urlargli, andarmene, ma non posso. Mi vergogno per lui e per me, e mi sento osservata con occhi colmi di comprensione e compassione dalle amiche di Alexander che anche se non capiscono la mia lingua si rendono conto della situazione ridicola a cui stanno assistendo.
Nel frattempo arriva la mia grigliata, sposto la mia attenzione da mio marito al cibo, cerco di rendere la serata più sopportabile. Passa un’ora, siamo pieni di cibo e alcol, ma Marco e Alexander continuano a raccontare storie sulle loro carriere. Mi avvicino all’uomo che è ancora a tutti gli effetti mio marito e gli chiedo con calma “Possiamo tornare in hotel?”. Finalmente sembra ascoltarmi “Potresti chiamarci un taxi?” chiedo ad Alexander preoccupata di portare il marito fino all’hotel con la metropolitana. L’altro sembra comprendermi e mi sorride “Lasciate che vi accompagni il mio autista”. Così ci alziamo, Marco barcolla tra le sedie e io lo sorreggo. Il freddo fuori mi punge subito le guance finché Alexander non ci apre la portiera della sua limousine, già pronta nel vialetto e dice all’autista la nostra destinazione in russo.
Finalmente siamo in viaggio verso l’hotel, ora che siamo soli guardo con disgusto mio marito ma anche con un pizzico di compassione. Si è accasciato sulla mia spalla e dalla sua bocca semi aperta fuori esce già un leggero russare con piccoli sbuffi di fiato alcolici che mi pizzicano le narici.
Il vuoto e la delusione che sento crescere ora non ha più motivo di celarsi.
L’imbarazzo per la situazione, per la serata, per quell’uomo che a stento riconosco come mio marito si fa strada dentro di me, così mi concedo di piangere, lacrime silenziose, calde varcano i cancelli dei miei occhi, appannandomi la vista ma portandomi ad una irrimediabile conclusione
“Qualcosa deve cambiare, così non è più possibile vivere!”.