« Ma porc… anche questa volta abbiamo fatto le quattro di notte, io devo smettere di darvi spago, finito il lavoro a mezzanotte e mezza devo andare dritta a casa, altro che quattro chiacchiere. »
Chi parla è Agnese, 45 anni, “single”, zitella per gli amici, un po’ burbera ma un’amica leale, è “impiegata di concetto”, per dirla terraterra sta alla biglietteria del teatro Argentina. Tutte le sere dopo lo spettacolo si ferma con gli altri impiegati e questo non di certo perché le va di chiacchierare, ma perché non le va di andare a casa, dove ad aspettarla ci sono solo tre gatti e suo padre che dorme davanti al televisore e da un bel pezzo.
« Dai Agnese ti accompagno a casa… con la vespa ho portato un casco anche per te. »
A parlare è Corrado il ragioniere del teatro, innamorato da sempre della giunonica Agnese, lui è lo stereotipo del ragioniere piccolino in sovrappeso e con la pelata mascherata con il riportino.
« No grazie Corrado, faccio due passi a piedi, poi, come dice Lorella, così sciolgo la cellulite. »
Sorride.
« Tu sei bellissima così come sei »
Mormora Corrado, tanto Agnese non lo ascolta, si è già incamminata salutando con la mano i colleghi ottenendo un “ciao a domani” collettivo.
Gira su Corso Vittorio Emanuele II, passa davanti a Sant’Andrea della Valle, è la solita strada che fa tutti i giorni per andare a casa, a via del Governo Vecchio, sia all’andata che al ritorno quasi senza pensare.
Ma questa notte è diversa, forse per la stanchezza, il freddo, o forse solo un po’ di malinconia, rallenta il passo, si incanta un attimo davanti alla facciata della chiesa e pensa: "che bella Roma, è possibile che non riesco più a godermela?"
Continua verso piazza San Pantaleo poi entra a via Pantaleo, il passo lento che rintocca sui sampietrini, si avvicina a Piazza Pasquino… sorride, nella sua mente sta ascoltando la colonna sonora del film di Magni “Nell’anno del Signore” il fischio caratteristico di quando sul film la statua Pasquino parlava.
Sorridendo alza lo sguardo verso la statua e lì di fronte a Pasquino c’è un uomo avvolto in un mantello nero, porta un cappello di feltro la larghe tese, i pantaloni alla zuava e le cioce, sembra uno zampognaro. Agnese rimane stupita, siamo a metà febbraio è un po’ fuori stagione, mentre elabora pensieri tutti suoi lui le sorride.
« Scusate voi sapete chi è Rigge? »
« Ma chi, Rigge de Biutifull? »
« E che ne so, qui c’è scritto che ama ‘na certa Gessica… poro Pasquino mio t’hanno messo a fa er paraninfo. »
E guarda la statua con compassione.
« Ce vo pazienza, so regazzi… mica lo sanno chi è Pasquino, chi soo ricorda più.»
« Voi dite che soo sò scordato? Lui è la voce satirica der popolo, ha fatto trema er soglio de tre papi, è stata la voce della ribellione de Roma pe’ du’ secoli »
«E che vor dì, mo le voci so artre, se chiamano Fesbuche, Istagramme o Tuitter, ce scrivono tutti na marea de fregnacce senza senso e senza pensiero, fanno più danni loro che Carlo in Francia.»
Questa persona la stimola a parlare in dialetto, come ormai per anni non le succedeva più. Lui la guarda con aria interessata.
«Quindi voi me dite che la parola della ribellione c’ha artre statue? »
«Statue? No no, nun so’ statue è na cosa più grande, va pe tutto er monno, ma nun porta gnente de bono. »
Adesso lui ha la faccia triste.
«Perché ancora ce so li schiavi e li padroni? »
«Certo che ce so’, ma peggio, perche li schiavi so convinti de esse liberi e li padroni so più carnefici infami, sotto le camice pulite e la faccia da innocenti. »
Lui con l’aria nostalgica.
«E io che pensavo de trova Roma libera dar cappio della schiavitù… »
Agnese tra l’incredulo e il curioso.
«A sor mae’ ‘ndo vivete? Nun vedete la televisione, nun leggete i giornali? Ma stavate in clausura? »
Lui con il viso solcato dalle rughe le sorride.
«’Na cosa simile, ‘ndo sto io tante cose nun ariveno… quindi stanotte me so fatto ‘na passeggiata… che delusione.»
Agnese gli sorride.
«No, nun fate così, voi stavate qui vicino de casa? »
Il viso rugoso gli si illumina.
« Si, qua su via dei Leutari, ciavevo ‘na bottega de falegname, io so’ ebanista, me ne so lucidati de mobilacci vecchi de li signori taccagni, pe’ nun parla dei pretacci. »
Agnese ride.
« Ma tu ‘ndo stai annà, fija? »
« A casa, sto qui vicino, a via del Governo Vecchio… »
« Posso fa un po’ de strada co’ te? Così me racconti come vanno le cose, a proposito in che anno stamo? »
« Ner 2019 perché? »
Lui la guarda con gli occhi limpidi e tristi degli anziani.
«Dall’urtima vorta che bazzicavo qui ne è passato de tempo… »
Agnese gli sorride, lo prende sotto braccio e in una sorta di magia si incamminano verso piazza dell’orologio, i passi lenti risuonano sui sampietrini, mentre lei racconta lui annuisce e ribatte come due vecchi amici, l’aurora fa capolino in cielo.
« Che te devo da dì Agné, è così brutto questo tempo… »
« No, sor mae e solo difficile, ma come scriveva Edoardo De Filippo: ”adda passa a nuttata.” Prima o poi finirà puro questo tempo infame »
Lui sorride.
« Sai na cosa Agnesì, penso che la scintilla sta proprio li sull’epigraffio de Pasquino, de sti tempi bui quarcheduno ama quarcunartro, er segreto è tutto lì, è amasse, magara diventa na malattia e se ritorna ad esse umani. »
Agnese lo guarda con rispetto.
«Sor mae, ciavete ragione, speriamo che sia come ‘a peste, veloce. »
« Vabbé piccolé er sole fa capolino e io me ne devo annà, me raccomando ogni tanto da un occhiata a Pasquino, così nun se sente solo. »
«Contatece, mo vado che se è fatto tardi puro pe’ me. »
Agnese lo saluta con un bacio sulla guancia e si avvia al portone di casa, apre e sull’uscio si volta per salutarlo, ma lui è svanito.