Una mattina calda di luglio dà l'avvio a tutta la storia.
Mi sono alzata a fatica, da qualche tempo trovo sempre più difficoltà a muovermi, il braccio e la gamba sinistra non rispondono e non si muovono come dovrebbero, mio marito insiste per portarmi all'ospedale e io rifiuto categoricamente perché non credo di essere ammalata fino al mattino del 19 luglio, quando scivolo per terra e non c'è verso di rimettermi in piedi.
Cedo e chiamiamo il 118 che arriva subito, i ragazzi sono efficienti e professionali, in due mi caricano sull'ambulanza come un sacco di patate e mi portano all'ospedale Martini, il più vicino a casa.
Inutile farsi illusioni, una volta che sei li dentro non hai più una tua volontà.
Ti strapazzano, ti iniettano farmaci, cioè provano e riprovano per vedere quale funziona, decidono per una TAC e mi spediscono in reparto di neurologia. Nel frattempo sono trascorsi cinque lunghissimi giorni e la parte sinistra del mio corpo è praticamente paralizzata.
Arrivano due medici, due illuminati che decidono che non si tratta di ictus bensì, vista la macchia nera della TAC, trattarsi di un tumore
Chiamano mio marito sulla porta della mia stanza e senza troppi preamboli gli dicono: << Provveda in merito alla sepoltura di sua moglie perché le restano si e no dieci giorni di vita>>
Brutti stronzi, sento tutto e gli faccio il dito. Mio marito, che scopro innamoratissimo di me, vuole rifare la tac magari in un altro ospedale. I due cervelloni si danno da fare e chiamano la clinica Koeliker e già il giorno dopo mi portano in ambulanza per farmi tac e risonanza magnetica. Si tratta del miglior centro d'Europa e il tecnico è considerato un luminare.
Mi riportano in reparto e iniziano le cure antitumorali che mi provocano dolori in ogni parte del corpo. Per mia fortuna alcune ore più tardi arriva il referto della tac, non si tratta di tumore ma di una infezione da un batterio o virus che si chiama Listeria e a causa della glicemia alta è andato a provocare un ascesso al cervello. Dico io già il cervello era poco e sbiellato ci mancava solo la listeria.
Viene un infettivologo dall'Amedeo di Savoia, ospedale specializzato nelle malattie virali, mi prescrive un antibiotico. Quattro sacche da mezzo litro nelle 24 ore.
Sono sfinita, ho problemi a muovermi e il personale ospedaliero come OSS e infermiere è pigro e con nessuna voglia di aiutare i pazienti. Mi rifiutano qualsiasi tipo di aiuto, tanto che li minaccio di chiamare i carabinieri. Quando vedono la mia determinazione cambiano atteggiamento, ma è sempre un supplizio.
Sono determinata e mi do da fare per muovermi. La cura procede bene, lentamente ma con efficacia, intanto scadono i due mesi di degenza e devo cambiare ospedale, trovano posto alla clinica Don Gnocchi, uno splendido centro di riabilitazione per chi ha problemi come il mio. Un posto bellissimo in vetta a una collina circondato da alberi meravigliosi dove giocano scoiattoli. Diciamo che comincia una vacanza in mezzo a persone gentili e professionalmente valide, al mattino c'è Angela, la mia personale fisioterapista che tenta in tutti i modi di farmi riprendere l'uso della gamba e del braccio sinistro, devo a lei la mia ripresa. Qui sono tutti gentili e sempre presenti e conosco lo psicologo che aiuta il mio cervello a funzionare meglio di prima, si chiama Davide e diventiamo subito amici, è una delle persone più simpatiche che abbia mai conosciuto.
Miglioro giorno per giorno e faccio amicizia con altri degenti. Un giorno arriva la bella notizia: il virus è debellato, l'antibiotico (un'autobotte) ha fatto il suo dovere e sto bene, posso lasciare l'ospedale e tornare a casa.
Cammino barcollando come un'ubriaca perché la gambetta sinistra non vuol saperne di reggermi, ma miglioro di giorno in giorno.
Sono ancora qui più vispa che mai e con una gran voglia di vivere, quanto mi siete mancati lo so solo io.