Entrammo e facemmo fatica ad abituarci alla luce che era presente lì dentro.
Da alcune feritoie entravano brevi raggi di luce, ma la giornata piovosa non era sicuramente di aiuto.
La luce fioca della lampadina fece anche in modo di farmi abbracciare un palo di legno, fortunamente senza procurarmi male. Certo, avrei preferito un bel ragazzo a un ballo della scuola. Ma questa è solo fantasia.
Quando i nostri occhi si abituarono maggiormente si aprì a noi uno stanzone enorme.
Era la soffitta. Racchiusa in essa, la storia della nonna.
Diversi bauli erano ordinatamente infilati tra di loro e, sotto degli enormi lenzuoli usati, si nascondevano oggetti non bene identificati.
Di certo creavano figure irreali che stimolavano la nostra curiosità.
"Vedete ragazze - disse la nonna Brigitte - In questa stanza c’è tutta la mia vita. Da quando ero fanciulla a quando divenni la moglie del nonno Henry. Voglio che veniate a conoscenza della sua esistenza perchè non vada persa come memoria. Anzi, fatemi una promessa: ciò che oggi vedrete, conservatelo voi quando io non potrò più farlo".
Giurammo solennemente come fossimo in tribunale, unendo le sei mani tra di noi.
Iniziammo ad aprire il primo baule.
Al suo interno numerevoli cassettine di latta con sopra stampata una famosa marca di biscotti inglesi, la Ditta Oldfields Cookies.
Scoprimmo che era la marca preferita del nonno e che ne comprava tutte le settimane almeno una scatola. Esse contenevano per la maggior parte vecchie foto della nonna, rigorosamente in bianco e nero. La sua prima comunione, con quel vestitino che mai noi ragazze penseremmo di indossare oggi.
Varie foto del nonno, raffiguranti lui in divisa da soldato grigia accanto a un cavallo bianco. Ed ecco venir fuori anche alcune foto, ormai ingiallite dal tempo, dei genitori dei nonni. Austere, severe, a raffigurarci un passato così poco comprensibile.
Passammo al secondo baule. E poi a tutti gli altri.
Ogni apertura era per la nonna un sussulto al cuore. Temo fosse parecchio tempo che la nonna non saliva in soffitta e aprisse tutto.
Vestiti di epoca passata passarono al vaglio attento dei nostri sguardi, essendo molte ferrate sull’argomento. L’unica delusione fu quella che non potemmo indossarne nessuno, essendo di dimensioni estremamente grandi e con l’odore della naftalina piuttosto intenso.
Non frenò tuttavia la nostra fantasia di ragazze, facendoci vivere sogni di balli con splendidi ragazzi e passerelle di moda negli Atelier più esclusivi di Londra.
Anche varie lettere passarono tra le nostre mani.
Una in particolare attrasse la nostra attenzione, essendo di un color violetto che ci ricordava i campi fioriti della Camarque, visti in un viaggio che compimmo con i nostri genitori anni addietro.
Domandammo il permesso alla nonna e, una volta ottenuto, con delicatezza, in una sorta di rispetto misto alla fragilità dell’atto che stavamo compiendo, la tirammo fuori dalla busta.
Era una lettera dove il nonno Henry scriveva alla nonna dall’Italia, in un viaggio che fece per affari subito dopo la guerra. Quindi ancora prima di domandarle la mano.
Le parole, anch’esse d’altri tempi, fecero però colpo su di noi.
La sua esposizione e dichiarazione d’amore era talmente aggraziata, come un giardiniere che è pronto a recidere una rosa per metterla al sicuro in un vaso, che tutte e tre, tenendoci per mano, alla fine della lettura scoppiammo in un pianto di commozione.
Ci mettemmo un attimo prima di riprenderci dall’emozione, ma poco dopo continuammo la nostra esplorazione. Era così affascinante e misterioso quello che avremmo potuto trovare che non sentivamo la stanchezza che stava sopraggiungendo.
Proseguendo, al termine del filare dei bauli un’altra rivelazione.
Enormi lenzuoli bianchi coprivano degli oggetti. Con fare spiccio li afferrammo per un lembo e li tirammo verso di noi. Il loro volteggiare leggiadro ma pur sempre pieno di polvere, ci diede la parvenza di fantasmi che libravano in aria.
Ma durò poco.
Caddero sul pavimento, rilassandosi e spargendosi nella loro interezza.
Giochi.
Quello era il segreto.
Birilli, palline colorate, trottole, una sedia a dondolo ancora funzionante e bambole, tante bambole.
Scoprimmo che la nonna, appassionata, aveva accumulato nel corso della vita oltre cento bambole.
Piccole, grandi, alcune con vestiti che avrebbero fatto invidia a degli oculati collezionisti, altre completamente nude, ma non meno belle.
La nonna tra tutte ne scelse una sola: La Molly.
Lei era stata la sua migliore amica e con lei aveva condiviso dei momenti fantastici.
La abbracciò come fa una mamma con una figlia.
Questa cosa intenerì talmente i nostri cuori che noi ragazze restammo a guardare in silenzio, immaginando un incontro intimo di due amiche che da tempo non si vedevano.
La bambola aveva ancora quel vestitino a fiori grandi, rosa e blu. Ci disse la nonna che lo aveva confezionato proprio lei con le sue mani. Aveva, da ragazza, dimestichezza con ago e filo e si dilettava spesso nella loro preparazione. Non era difficile crederle, vista la mole di bambole presenti.
Pensai fosse quasi come avere cento figli nella stessa casa.
Gli otto rintocchi della campana,ci riportarono alla realtà. Si era fatta ormai sera.
Avremmo passato lì non so quante ore ancora, ma era l’ora di cena e i ricordi avevano ormai permeato la stanza.
Con fare deciso le lenzuola furono riposte sopra i giochi, i bauli chiusi con accortezza, stando attenti che nessun lembo di vestito potesse sporgere, e la porticina d’ingresso fu serrata con una mandata.
Quella giornata fu indimenticabile.
Non sono più quella ragazzina di un tempo. La spensieratezza ha ormai fatto posto alla età adulta.
Le cose si sono evolute.
Sapete, ho davvero conosciuto mia marito a un ballo e con lui abbiamo avuto un figlio.
Però la promessa l’ho mantenuta.
La stanza dove racchiusi la storia della nostra famiglia fu creata. E anzi, proseguii anch’io nella raccolta.
Non in quella dei ricordi, intendiamoci, ma per stringere a sè quel senso di appartenenza che, altrimenti scivolerebbe nell’oblio.
Grazie nonna.