-La chiamano Almendrita, “Piccola Mandorla”-, mi rivela Junio, mentre un corpo fluttua tra le onde sonore fino al centro del parterre in legno.
-Perché fin da piccolina trabaja con le mandorle, le vende-, continua, masticando una liquirizia e il suo italiano spagnolizzato.
Le sue parole fanno da cornice, perché la mia testa cerca di seguire il disegno che Almendrita crea, col suo movimento di braccia, ma soprattutto con l’ondeggiare dei suoi fianchi.
D’istinto, mi sbottono i primi due bottoni della camicia.
-Bella, vero?-, conclude Junio, proteggendo il suo ghigno con quei baffi da bandito.
Non so se vi è mai capitato di irritarvi davanti ad un colore. A me si, continuamente, e soprattutto col marrone. Ma come fanno a dire che è un bel colore per gli occhi?
Almendrita ci affonda il nero della pupilla, e lo muove. Muove quel marrone a suo piacimento, come un’onda del mare che atterra sulla spiaggia e si ritira di nuovo nel mare, lasciando nient’altro che spuma.
L’orizzonte, dietro al palco e i suonatori, dietro ad Almendrita e davanti a me, Junio e gli altri spettatori del Local de la Playa, è risucchiato dal movimento cantilenante di quelle onde: del mare, della musica, degli occhi in cui sono custoditi gelosamente.
Ritorno a galla dal mar marrone, al battito del suo piede sulle lamine legnose del pavimento. Bum.
E poi ancora. Bum.
Salto ad ogni rintocco.
Bum.
Un tatuaggio si affaccia dalla caviglia; un serpente la stringe fino alla pianta del piede, pronto a sferrare il suo veleno. Bum.
Veste rosso, accecante. Bum.
Risalgo pian piano, fino al viso.
Bum.
Lo nasconde dietro una caduta di lisce strisce caffeine, nocciolate sulle punte attorcigliate. Al bisogno, prende per mano i suoi capelli e con loro passeggia per i giardini della musica; prati di cui ci mostra le piante migliori.
-Gringo, mira-, ancora la voce del mio compare.
-Mira, te guarda, guarda a te-, se ne esce, con dei ripetuti richiami sulla spalla.
Io vedo solo una distesa di deserto che varia da una tonalità all’altra, rivestito di lino rosso. Sento la gola secca e assetata. La veste, sottile, aleggia al ritmo del tamburo; compiace le linee della schiena tingendola di fragola. È vero, guarda me.
Bum.
Di nuovo il mare marrone. Bum.
Di nuove le onde.
Bum.
Un ultimo colpo del serpente spegne tutto il resto e la musica gli va appresso.
Scroscianti applausi, motteggi e adulazioni che io non capisco, ma Junio ne sembra presidente indiscusso.
Almendrita s’inchina e, adempiuto il suo dovere, torna inghiottita dal retropalco, come svanisse nel mare che la concesse gentilmente a noi, per 3 minuti di canzone.
-Dai amigo no te preocupes, tranquilo aqui ci siamo noi-, perora Junio.
-Dale rubio!-, se ne esce anche Tullio “El Rudo”, che era rimasto muto come un bambino per tutta l’esibizione.
Mi alzo riallacciando la camicia e con in volto la curiosità e la paura che ne deriva.
-Almendrita-, pronuncio come una formula magica, mentre lei ripone le ultime cose nello zaino.
-No es mi nombre-, risponde, neanche alzando lo sguardo.
-Como te llamas?-, chiedo timido, a un’immagine a cui difficilmente riesco a dare forma, ora.
Si drizza sulle spalle; vedo il serpente uscire dalla veste e puntarmi risoluto.
-No es palabra-
È viso a viso; prende una mia mano e la porta ad altezza spalle, l’altra se la posa sul fianco.
-Es Musica-
Sono scomparso dall’azione, ormai suddita devota di una religione ignota e psicotropa.
Il mio mondo è tutto nelle note che arrivano dal palco dei sonatori; che serpeggiano arrivando nel sangue.
Almendrita, si ripete la mia testa. Almendrita, si dice. Almendrita, di nuovo. Ancora, Almendrita.
Fino a perdere, sconfitta dall’energia di una futile parola che va miscelandosi con il resto nel sangue.
Siamo onde, finalmente.
Bum.
Uno sparo.
Dalla sala del Local si alzano urla e frastuoni. Mi giro di scatto.
Mi accorgo della stronzata che ho fatto lasciando la presa, quando voltandomi di nuovo non trovo più la musa, la musica, il mare, la piccola Mandorla: Almendrita.
Restando con il vuoto tra le mani, non ricordo più neanche cosa mi manca. Che cos’era quella cosa? Cosa volevo? Cosa avevo? Molte parole, e a ognuna corrisponde una sensazione.
Mi ricordo di un mare che avanza sulla spiaggia, regala una spuma e se ne ritorna. Era marrone. Marrone caffè, marrone nocciola, ma soprattutto marrone mandorla. Si, Mandorla. Almendra, Almendrita.
Si, l’Argentina. Un locale sulla spiaggia, in Argentina. C’era Junio, El Rudo, El Rancho, Tiqui... insomma, tutti Los Banditos de Mar De Ajò. Bevevamo Tequila, Whisky, mangiavamo noccioline; un gruppo suonava.
Un tango, forse? Non so, non conosco molto bene. Ma era Musica di sicuro: cioè derivante da una Musa, dalle onde del mare, da una mandorla che balla tra di esse prima di tornare a soccombere la corrente e lontano all’orizzonte.