La giornata di lavoro era finita.
Nonostante il dolore alle braccia.
Nonostante il sudore e la tensione che le infiammava i tendini.
Sciolse i capelli.
Il vestito le scivolò lungo i fianchi.
E si immerse nell'acqua fresca e cristallina della fonte.
Una vasca di pietra di tufo bianco raccoglieva le acque di quella sorgente.
Aveva trovato quel posto curiosando tra le rovine romane.
Acqua potabile che lambiva il suo corpo, ma anche i suoi pensieri.
Il sole stava tramontando e i riflessi aranciati creavano ghirigori geometrici tra le pietre.
Amava tutto di quel posto.
I colori, gli odori, i ritmi serrati della vita quotidiana.
Si alzò lentamente e si asciugò con cura i capelli, intrecciandoli.
Un nuovo abito la aspettava.
Verde smeraldo, come i suoi occhi.
Si narrava che una sua antenata fosse di Venezia.
Si narrava che avesse gli occhi verdi e si chiamasse Nadia.
Si narrava che avesse sposato un angelo decaduto.
Le piacevano le leggende.
Prese dalla sua piccola borsa la tiara.
Era vera?
O era lì per uno scherzo del destino?
Si avvicinò alla vasca piena di acqua.
Si specchiò.
Indossò la tiara.
Le sue ginocchia crollarono e dovette aggrapparsi alla vasca.
L'acqua esplose in centinaia di gocce.
E mano a mano che l'acqua cadeva, la pietra cambiava.
Tutto riluceva di una nuova vita.
Tremante Rose si alzò.
Camminava tra nuove strade deserte ma luminose.
Trovò un bellissimo belvedere.
Si vedeva la valle.
La sua terra.
E lei ne era la nuova regina.
Ricordò Nadia, la corte del doge, il demone innamorato, la fuga a Vulcano.
Ricordò che avevano avuto una figlia.
Si chiamava Serena.
Serena.
Cavolo, pensò.
Serena era sua madre.