Camminarono per circa due minuti verso la fermata da cui erano scesi neanche mezz’ora prima.
Ambra aveva scritto a Francesca per comunicare dove stavano andando, di non preoccuparsi e non aspettarli. Ebbe la sensazione di essere una fuggiasca; pensò alle facce incuriosite dei suoi amici e non poté far a meno di gioirne. Luca, invece, il telefono non l’aveva neanche guardato, come se per lui fosse normale sparire ad inizio serata con una ragazza di cui sapeva solo il nome. Ambra si chiese quante volte l’avesse già fatto per essere così sicuro di sé e si rattristò per un istante. Fu lui, come se l’avesse intuito, a rompere il ghiaccio.
“Non hai da chiedermi niente? Di solito voi donne siete così chiacchierone..”
Di solito. Come si può quantificare un di solito? Dieci, venti, trenta ragazze? Ambra stava andando nel pallone.
“Avete questa stupida idea che le donne siano tutte uguali. Tutte con le stesse paranoie, con gli stessi difetti e con l’unico scopo di ridere alle vostre battute da quattro soldi e compiacervi… a letto. A letto e anche fuori”
“… magari!” Luca aveva un’espressione strafottente e divertita allo stesso tempo.
“E tu, che ti credi diverso dagli altri, cosa pensi di avere di così particolare?” Non sapeva da quale parte del suo corpo venisse tanta sfacciataggine; un po’ se ne vergognava, un po’ ne era piacevolmente sorpresa.
“Questa sarebbe una domanda. Come previsto. Non sapete proprio resistere, siete la curiosità scesa sulla terra.” L’autobus era arrivato, completamente vuoto e triste. Salirono, si aggrapparono a due pali e rimasero in piedi, più o meno uno di fronte all’altro.
“Hai indovinato: credo di essere diverso, anzi, ne sono convinto. Sono diverso da quegli imbecilli che trovi per terra in Piazza Verdi con la birra del pachistano e la bici rubata; sono diverso da ragazzi altezzosi e con il cervello pieno di fuffa come Davide e non sono nemmeno bravo, responsabile e maturo come Nicola. Ho la presunzione di ritenermi un tipo certamente non unico ma, comunque, raro. Magari faccio più schifo degli altri o forse sono un poco meglio, non lo so. Questo sta a te valutarlo. Ma sicuramente non sono come la maggioranza di ragazzi che hai conosciuto.”
A quel punto Ambra si sedette su un seggiolino accanto al finestrino, sia per allontanarsi da lui che per prendere tempo e assimilare ciò che aveva appena sentito. L’aveva provocato e lui non si era tirato indietro, tutt’altro: le aveva risposto per le rime e l’aveva messa al tappeto. E in qualche modo ne era felice.
“Vedremo.” Fu tutto quello che le uscì come risposta e per i restanti dieci minuti di viaggio non dissero una parola.
Scesero alla fermata di via Irnerio e iniziarono a camminare verso Via Indipendenza. Ormai era mezzanotte passata e le persone in strada erano sempre meno.
“Non mi hai ancora detto di dove sei.” Ambra cercò di cambiare argomento e avere una conversazione civile.
“Diciamo che sono di qua.”
“Cioè?”
“È una storia lunga, un giorno te la racconterò. Per ora considerami un bolognese doc. Tu? ”
Quelle parole le erano suonate strane, misteriose ma allo stesso tempo le inducevano fiducia. Facevano credere che sarebbe arrivato un momento in cui le avrebbe spiegato tutto e questo la rincuorava.
“Io vengo da un paese in provincia. Niente di particolare da dire, insomma. Un paese come un altro.”
“Ma dai, ci sarà qualcosa di diverso da tutti gli altri luoghi sulla terra. Ci deve essere per forza!”
Ambra fece una breve pausa. “Effettivamente c’è un bel lago in mezzo a una valle incastonata tra le montagne. È il mio posto preferito, ci vado ogni volta che sento il bisogno di restare sola a sciogliere la matassa dei miei pensieri contorti, i quali sono molti più di quanto uno si possa aspettare.” Sorrise a se stessa per ciò che aveva appena detto. Le apparve un’immagine del posto che aveva appena descritto, in primavera; avrebbe voluto farglielo vedere, renderlo partecipe, sapere se era bello allo stesso modo anche per lui.
“Lo sapevo. C’è sempre qualcosa.”
Erano tornati in Piazza Maggiore. C’erano solo loro, avrebbero potuto correre, cantare, urlare; non fecero niente di tutto ciò. Si sentivano piccoli di fronte a tanta maestosità. Ambra aveva visto piazze mille volte più belle, ma quando si trovava lì le sembrava che il suo orizzonte venisse dilatato. Era un concetto difficile da spiegare, ma voltandosi verso Luca capì che non ce n’era bisogno. Il modo in cui guardava di fronte a sé lasciava intuire che anche lui stava provando la stessa sensazione e questo era decisamente un fatto più unico che raro.
Imboccarono via Degli Orefici, parlando della città, di ciò che non funzionava. Luca detestava gli autobus e preferiva evitare di usarli se poteva, mentre per lei erano indispensabili e non avrebbe potuto immaginare di farne a meno. A un certo punto Luca interruppe il discorso: “Seguimi, però abbassa la voce.”
La fece entrare in un cortile di un palazzo antico. I muri erano dipinti, al centro vi erano piante stupende, che sicuramente sarebbero state ancora più belle una volta fiorite. Sembrava un’oasi serena in mezzo all’oscurità della città.
Luca spense la sigaretta mentre la guardava girarsi attorno stupita, incantata. Credeva di aver capito cosa fosse ciò che li univa: avevano la stessa sensibilità. L’aveva intuito al primo sguardo, ne aveva avuto conferma in piazza e anche lui la prima volta che era entrato lì aveva la stessa espressione e questo era un segno inconfondibile.
“È incredibile quali angoli si possano scovare, non trovi?”
“Sì, è meraviglioso. Non so, mi dà un senso di…”
“Pace.”
“Esatto, sì. Pace.”
Ambra continuava a osservare quel luogo quasi magico. Lui le era venuto vicino e stavolta se ne era resa conto. Si voltò lentamente e i loro occhi si incrociarono; le prese la mano e a bassa voce disse: “Hai ancora voglia di ballare?” Ambra non rispose, fece solo un leggero gesto con il capo avvicinandosi ulteriormente. Questa volta fu tutto molto più calmo, più sentito. Non c’era la frenesia, l’ansia di stupire, l’effetto sorpresa. Si muovevano piano, tranquilli, in silenzio. Come se avessero non solo tutta la notte a disposizione, ma la vita intera. Continuarono a muoversi all’unisono per un tempo che parve loro indefinito e piano piano si fermarono. Lei col capo appoggiato al suo petto, pienamente a suo agio. Rimasero immobili in quel modo per qualche istante, poi Ambra alzò la testa. Si baciarono, delicatamente, come si bacerebbe qualcosa di fragile che si ha paura di rompere. Luca si distaccò e sorrise. Ambra capì cosa aveva voluto dire Francesca qualche ora fa: era in assoluto il sorriso più bello che avesse mai visto.