"Papà ma noi siamo tutti re? Ehi! Papà mi ascolti? Siamo tutti re? Uffa! Papà, non mi senti, papà, papà..." Paolo continuava a svegliarsi agitato, grondante di sudore, tormentato sempre dallo stesso sogno che lo riportava alla sua infanzia, sempre la stessa domanda che da un bel po' non aveva più una risposta. Quanta ‘fatica’ aveva dovuto fare suo padre Francesco per fargli capire, senza riuscirci, che non siamo tutti re e che l'articolo 1 della Costituzione Italiana, da cui Paolo era rimasto affascinato, aveva un significato più articolato.
Paolo aveva solo 8 anni quando lo lesse per la prima volta su di un volantino raccolto in strada all'uscita di scuola mentre rientrava a casa, leggeva e rileggeva entusiasta quella frase: "Il popolo è sovrano". Continuava a ripeterlo a voce alta sventolando la locandina, non vedeva l'ora che il papà tornasse da lavoro per farsela spiegare. Francesco una volta rincasato non ebbe neanche il tempo di salutare la moglie, se lo ritrovò tra i piedi che agitava il foglietto e chiedeva con insistenza: "Papà ma noi siamo tutti re? Ehi! Papà mi ascolti? Siamo tutti re?". Sedutosi sul divano se lo prese sulle ginocchia, prese il volantino e con tono impostato incominciò a leggere: "Articolo 1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
“Vedi Paolo, il popolo è sovrano, come dici tu, o meglio come sta scritto: - La sovranità appartiene al popolo - non significa che siamo tutti re ma che il popolo sta al di sopra di tutto e che attraverso il voto può scegliere chi lo deve rappresentare".
Mentre parlava si rendeva conto che non era un granché la sua spiegazione e che il discorso da fare doveva essere ben più articolato nel contempo formulato in modo tale che un ragazzino potesse capirlo ma Paolo non gli dava il tempo di riflettere e continuava a chiedere a raffica: "E fondata sul lavoro che vuol dire? Cos'è una repubblica? Che significa democratica? Cos’è la Costituzione?".
Dopo i ‘chiarimenti’ paterni si era convinto che il lavoro non gli sarebbe mai mancato, che avrebbe potuto scegliere cosa fare da grande e che lo stato era di tutto il popolo. Da allora fu pervaso da un crescente ottimismo alimentato anche dalla conduzione di una vita agiata che condivideva con i suoi coetanei, anche loro figli del progresso e del boom economico.
Mancava poco al diploma quando la sua vita fu sconvolta dalla perdita del padre. Francesco non aveva avuto la soddisfazione di stringere tra le mani il famoso 'pezzo di carta' che a breve il figlio avrebbe conseguito. Paolo ancora sentiva la sua voce: "Se vuoi fare strada figliolo devi avere il pezzo di carta in tasca, avessi potuto averlo io il diploma!". Affranto dopo la maturità per la prematura perdita del papà, aveva dovuto rimboccarsi le maniche e incominciare a lavorare abbandonando l’idea di voler frequentare l’università, i tempi stavano cambiando e la crisi economica prendendo quota. La convinzione che il lavoro non gli sarebbe mai mancato andava sgretolandosi facendo a pugni con la realtà, così come la possibilità di scegliersi il lavoro che più lo soddisfacesse o la possibilità di avere un impiego decente o un vero contratto di lavoro che desse dignità.
Tutte collaborazioni brevi le sue con tipi di contratti che a solo nominarli facevano ridere, sembravano versi di animali: co.co.co, co.co.pro.., se gli andava bene, altrimenti impiegato a nero senza un minimo di tutela. Aveva fatto di tutto: il fattorino, lo scaricante di porto, il rappresentante di detersivi, di cosmetici, il lavapiatti, il banconista, il cameriere, l’autista, il panettiere, aveva anche vissuto una start up che gli aveva fatto prendere il cielo con le mani, ma di lì a poco, nelle stesse si era ritrovato solo pochi spiccioli, gli stessi che stringevano nei loro pugni i colleghi ultracinquantenni che si erano ritrovati d’improvviso licenziati con famiglie sulle spalle da mantenere. Una vera doccia fredda per loro, che li avrebbe fatti grondare disperazione chissà per quanto tempo impregnandoli di malessere. Una sua breve parentesi lavorativa in una ditta di pulizie che aveva appalti con grandi società l'aveva catapultato in una nuova realtà fatta di uffici, scrivanie, sale riunioni, sala relax con tanto di poltrone, musica in sottofondo e nullafacenti che si vedevano a tutte le ore: ora su di una panchina, ora al bar, ora in sala ristoro, inoperose ad aspettare che il fatidico 27 di ogni mese arrivasse, per loro una manna dal cielo, per lui un semplice numero dispari e nient'altro. Vedendole Paolo provava rabbia ma soprattutto vergogna. Non per lui, ovviamente, ma per loro: miserabili. Fuori quelle mura pensava, c'è il mondo che avrebbe fatto a cazzotti per prenderne il posto e loro, incuranti della realtà, avevano il coraggio di rubarsi lo stipendio senza aver il minimo rispetto per quanti non sapevano neanche cosa fosse un lavoro, sguazzavano oziosi nel ventre della vacca godendosene il benessere, a discapito di tanti.
Purtroppo la sua presenza in quegli uffici andava sempre più riducendosi, nel giro di poco si ritrovò nuovamente disoccupato. La ditta di pulizie aveva dovuto ridurre il personale e a farne le spese erano stati i più vecchi: lui e Guglielmo, cinquantaduenne con a carico 3 figli da sfamare. Impallidiva al solo ricordo della rabbia che leggeva sul volto tirato dell’amico alla notizia del licenziamento: la fronte gocciolava di sudore, il cuore gli batteva all’impazzata ossessionato dal pensiero di come avrebbe fatto a portare avanti la famiglia, a garantire un domani ai suoi tre figli, tremava disperato perché consapevole che alternative non ce n’erano. A Guglielmo in un attimo il mondo stava crollando addosso e solo un lavoro avrebbe potuto restituirgli la dignità che si stava velocemente dissolvendo sotto lo sguardo indifferente del potere, facendolo sentire un inetto in tutto e per tutto. Un dramma che si consumava in silenzio come tanti altri, di cui tanti, troppi, preferivano ignorarne l’esistenza volgendo lo sguardo altrove.
Meno male che non si era creato una famiglia, pensava Paolo. Aveva dovuto sacrificare anche quella, dopo anni di fidanzamento aveva lasciato Gina perché ossessionata dal desiderio di voler diventare mamma.
"Un figlio? Sei impazzita? Ti rendi conto della mia situazione?"
Una sbattuta di porta e le aveva dato le spalle per sempre. Se avesse avuto un lavoro non avrebbe esitato a farsi una famiglia, anche lui desiderava fortemente un figlio con cui condividere la sua esistenza, ma purtroppo la razionalità, la ragione glielo impediva. Non avrebbe potuto offrirgli un futuro, era troppo impegnato a costruirsene uno e peggio ancora un giorno non avrebbe potuto dirgli che il popolo è sovrano, avrebbe dovuto spiegargli che parte di esso cui lui apparteneva era ormai suddito di un'ordinaria precarietà.