Don Carmelo abita in fondo ad un vicolo cieco alla fine di via Garibaldi ad Arzano.
Parcheggio a pettine davanti al portone.
E' un cadente palazzo a corte, con tanti terranei che Don Carmelo usa come pollaio, conigliere, per completare nel giardino in fondo una porcilaia abitata da un famiglia di suini con a capo un verro over size.
Don Carmelo è l'unico essere umano di quel palazzo.
Lungo la scala che conduce al primo piano una folta colonia felina, gatti di tutte le dimensioni e colori.
Una puzza che prende alla gola.
Nel vano della porta d’ingresso si materializza un’ombra larga e alta: è lui lo strozzino, ha sentito il rumore dell’auto.
Ha indosso la sua solita divisa per tutte le stagioni: una vestaglia di flanella nocciola aperta, enormi calzoni di velluto verde, un felpa dei Chicago Bulls dal colore indefinibile e scarponi militari di misura 47.
E’ grasso, enorme, alto quasi due metri, i denti gialli, ventre prominente che fuoriesce dalla felpa.
Il lunghi capelli ricci, neri e unti sono legati sulla nuca a coda di cavallo
Il viso tondo roseo e inespressivo contrasta con gli occhi verdi che si muovono rapidi come quelli di un animale da preda.
Con una vocina da castrato mi blatera verso: “Avvocaticchio che cazzo vieni a fare, sono due mesi che il tuo studio ha chiuso la mia causa, ora avete premura. Avvicinati che ti pago, ma prima fatti toccare il culo. Il tuo capo sa bene cosa mi piace e mi ha fatto anche assolvere”
Non lo faccio finire, di corsa lungo le scale facendomi strada tra i gatti.
Tornai allo studio, giusto per mandare a fare in culo il capo con tutti gli associati.