Quel mese di maggio era veramente torrido.
Erano le prime ore del pomeriggio e nel mercato i turisti avevano lasciato posto ai cani e ai gatti randagi in cerca di qualche avanzo di cibo.
Gli affari di quella mattina erano andati piuttosto bene. Dall’ultima nave erano sbarcate diverse centinaia di turisti che avevano letteralmente svuotato i negozi.
L’impressione comune fu quella che il turista dovesse dimostrare al suo ritorno che possedeva almeno un ricordo, testimonianza del passaggio a Marrakech.
Il mio nome è Jassin. Ho 72 anni.
Faccio commercio da tanti di quegli anni, che esattamente non ricordo come abbia iniziato a farlo.
Questo lavoro dà da vivere dignitosamente a tutta la mia famiglia. Siamo in sette.
Sono vedovo da cinque anni, ma ho due figlie, due generi e due nipoti.
La mia povera moglie mi manca molto, ma sento che nei momenti difficili lei mi è accanto.
Vedete, quella nella foto è lei. Bella vero?
Il souk è una tappa sempre curata dagli organizzatori dei tour.
In esso il crogiolo di odori, sapori, colori, voci è così intenso, che percorrerlo nella sua interezza fa girare la testa per un bel po’ di ore, soprattutto allo straniero.
Il negozio di abiti tipici (paradiso delle donne), è spesso accanto a quello del macellaio, dove polli per niente soddisfatti penzolano a testa in giù.
Le spezie nei banchi (Baharat) accuratamente suddivise, mostrano un arcobaleno di rara bellezza.
I mercanti decantano la qualità della loro mercanzia in un altalenarsi di toni accesi e melodiosi.
I banchi di frutta e verdura ospitano di tutto.
I venditori di Kafta, spiedini di carne cotti sulla carbonella, alimentano odori che penetrano nelle narici con insistenza, mitigati dal Kamareddine, un nettare di albicocca che viene spalmato su pane.
Nella Medina è tutto così sorprendente che si ha l’impressione di essere tornati indietro nel tempo, cinquanta, cento, mille anni.
I minareti intorno si ergono maestosi con le loro decorazioni arabescate, mentre le case diroccate della città vecchia offrono un’immagine unica.
Terminato l’andirivieni di gente, ero solito nel pomeriggio dopo mangiato, concedere riposo alle mie vecchie ossa.
Quella mattina non fu una mattina qualunque, e qualcosa, o meglio qualcuno, attrasse la mia attenzione.
Un ragazzino americano con fare spavaldo volle acquistare un animaletto che era esposto nel ripiano più alto dello scaffale, indicandolo con il suo minuto dito.
Era l’imitazione di un cammello di dimensioni contenute e con il pelo ormai impolverato.
La mancanza della mia povera moglie si vedeva proprio in queste cose.
Non ricordavo più di averne: ormai non era neanche più richiesto dai clienti.
La scelta di quell’oggetto turbò il resto della mia giornata.
Come dicevo poco innanzi, chiuso il negozio, mi ritiravo dietro la bottega sdraiandomi su un materasso logoro ,che solo la mia pigrizia non mi faceva sostituire.
Presto i miei occhi si chiusero e la mia mente viaggiò indietro nel tempo in un vortice impetuoso che nulla poteva arrestare.
Mi comparve un bambino che scandiva numeri a ritroso, in una sorta di gioco del nascondino.
Il resto dei miei amici prontamente stavano nascondendosi nei posti più incredibili.
Lo sbirciare tra le sue dita aveva però permesso di individuarli quasi tutti.
Non era corretto quello che aveva fatto... e sorrisi.
Mi alzai scrollandomi la polvere di dosso e mi toccai il corpo e il volto con le mani.
Mi rividi bambino.
La sguardo percorreva in lungo e in largo ciò che avevo già vissuto.
Le facce dei miei amici erano ben distinte, e le strade della vecchia Marrakech non erano poi così diverse da quelle di oggi.
Oh, che momenti di spensieratezza e che brividi percorrevano il mio corpo.
Di qualunque cosa si trattasse, sensazione, deja vu, mi ci volevo aggrappare con tutto me stesso, come fa la nave che attracca al molo del porto antico gettando l’ancora.
Omar, il mio miglior amico, era proprio lì davanti a me.
Con la sua fionda era infallibile.
Quando si andava a caccia di lucertole la sua era caccia grossa, tornava sempre con almeno dodici esemplari infilzati su un rametto.
La mia, più che caccia, era una ricerca. Oltre a non aver mira, non avevo fortuna. Ma lasciamo perdere.
Io e Omar non eravamo mai a casa. Sempre in giro a bighellonare: una volta a caccia, una volta a rubare dai banchi della frutta quei profumatissimi datteri di cui eravamo ghiotti, altre volte a trovare il vecchio Assid.
Mi ritrovai con Omar nella una catapecchia del vecchio mercante.
Questi non si era mai sposato, viveva di piccole cose, e tutte le sere ringraziava Allah che gli aveva permesso di vivere ancora un giorno.