Gli spruzzi dell’acqua del mare mi arrivavano copiosi sul viso
E dovevo sfregarmi con le nocche delle dita per poter togliere quel sale che bruciava gli occhi
La piccola barchetta che avevamo noleggiato ci stava portando a Faro
Una meta scelta a caso, un giorno, in compagnia di amici in una stanza, indicando ad occhi chiusi con la punta della matita un luogo sul mappamondo
Partimmo da quel paesino del Nord Italia in tre amici
Un trolley ciascuno ed un biglietto del treno nella mano
Quando sentimmo il fragore dell’Oceano ne rimanemmo incantati
Occhi sgranati e un leggero brivido di freddo, nonostante fosse estate
Non era come il nostro mare più placido
L’Oceano aveva tutta l’intenzione di far sentire la sua maestosità
E non passò inosservato
Quando sbarcammo, ci vennero incontro due ragazzini mandati da quelli dell’Albergo
Pantaloncini corti e due occhi vispi come se avessero appena combinato una marachella
Trascinammo i trolley su questa strada fatta da ciottoli
Provocando un rumore assordante, in quello che ai nostri occhi stava apparendo come un paradiso in terra
Le case erano tutte bianche e con i tetti rossi
E il colore blu del cielo unito a quello ocra delle spiagge, rendeva ancora più emozionante il nostro arrivo
Mi colpì anche una cosa davvero strana
Su un tronco di albero, dei centrini bianchi ricamati
Appesi intorno ad esso
Una cosa davvero singolare
Una maestria di intrecci ed un benvenuto davvero piacevole
Arrivammo all’albergo e salutammo i ragazzini
Stavamo per offrirgli un compenso, ma si ritrassero
Rispondendoci con un sorriso e pronunciando “boas festas”
Svanendo subito dopo, come erano arrivati
In quei giorni che iniziammo a trascorrere non avvenne nulla di particolare, se non conoscere gente
Girammo in lungo e in largo
Eravamo assetati di scoperta
E nonostante la nostra ancora giovane età, ci capitò spesso di fermarci con gli anziani del paese
Donne e uomini segnati sui loro visi dal tempo
Gli uomini con un passato di “pescator” e i lunghi viaggi con i loro “moliceiro”, dove tornavano con il frutto del loro lavoro e a volte con un solo pugno di “arenque”
Mentre le donne in queste basse e umili abitazioni
Nella cucina una vecchia stufa a legna e piastrelle bianche e blu, che ricordavano le onde del mare
Le camere da letto ognuna con l’immagine della Vergine del Pilar
E cornici di legno che racchiudevano la storia della famiglia
L’occhio posò lo sguardo in quell’angolo della stanza
Dove c’era una macchina da cucire e merletti ricamati
Forse gli stessi che avevo visto su quell’albero
Andavamo via sempre a malincuore da questi incontri
Il giorno dopo volemmo cambiare itinerario e spostarci verso il mare
Prendemmo delle mountain bike
Venimmo a sapere di un sentiero chiamato il Sentiero dei Pescatori (Trilho dos Pescadores)
E cosi partimmo con determinazione, ma con altrettanto piacere di vivere con calma quei luoghi meravigliosi
Ed infatti lo scenario che si aprì ai nostri occhi risultava anche difficile poterlo esprimere
Solo se qualcuno avesse visto i nostri tre visi, avrebbe potuto comprendere la profondità della nostra emozione
E qui dune si alternavano a scogliere dove cicogne nidificavano, a piccoli porticcioli di pescatori
In uno di questi ci fermammo a riposarci ed a bere qualcosa di dissetante
La piccola locanda aveva dei tavoli di legno all’esterno e stavamo per sederci ad uno di questi
Era occupato solo da un anziano che quando ci vide avvicinarsi ci lanciò un’occhiataccia
Di quelle di uno che non vuole essere disturbato dai suoi pensieri
Girammo le spalle avendo capito, ma dopo pochi metri venimmo richiamati
“Facam favor” accomodatevi
Ci avvicinammo quasi non toccando i piedi da terra ed ordinammo
L’anziano per un po' non disse nulla, se non versarsi del “vinho tinto” in un bicchiere
“Tobias” il mio nome è Tobias
Le sue parole pronunciarono con voce roca quel nome
Una voce consumata dal sigaro e da diversi incontri con il vino
Iniziò a raccontarsi
Come un fiume che scorre piano nel suo letto per poi voler raggiungere le pianure e tuffarsi nel mare
Come il vento che si ingrossa all’improvviso trascinando nel cielo tutto quello che incontra
Pensammo avesse una età non bene definita, tanto era piegato su sé stesso
Folti capelli bianchi e una barba incolta
Un bastone che teneva nella mano destra e occhiali tondi
Rimanemmo in ascolto per molto tempo
“Cafunè”
Disse questa parola varie volte, nel suo stretto portoghese
E facendoci coraggio e fortemente incuriositi domandammo cosa volesse dire
Lui sorrise
Di quei sorrisi di chi ha vissuto e sofferto
Dove un “Cafunè” è qualcosa di molto intimo e non si racconta con le parole
Tantomeno a dei ragazzi appena conosciuti
-Margarita
Si chiamava così la mia donna
L’unica donna che abbia veramente amato
Mandata dal cielo a uno come me che forse non la meritava
Dove bellezza e gentilezza erano legate in maniera semplice
Una donna a cui bastava guardarti per capire cosa avessi
Mani che per rassicurarti stringevano forti le tue
Gambe che correvano con la gonna tirata su lungo il mare, per non farsi prendere da me
Coraggio che sbalordiva chi aveva di fronte-
Il viso di Tobias si fece scuro per un attimo, ma per un qualcosa di potente a noi sconosciuto riprese il discorso
-Quando si ammalò mi sentii perso. Ma ancora una volta era lei a tenermi le mani. Le passai la mano tra i capelli più volte, “Cafunè”
Mi lasciò con un sorriso, che mi accompagna ogni sera prima di addormentarmi
Il sorriso di un angelo
Il mio “anjo do paraiso”
Tobias avvicinò l’ultima volta il bicchiere alle labbra e poggiandolo al tavolo, ci guardo per l’ultima volta
Con lo sguardo di chi ha l’amore nel cuore ed in tutto sé stesso
Ci salutò volgendoci le spalle, alzando la mano al cielo e pronunciando
Lembrar, Cafunè