Il giorno stabilito l’agitazione della partenza iniziava fin dal mattino, le valige aperte che venivano man mano riempite dalla mamma, il frigorifero spento che il papà aveva preventivamente sbrinato, pulito ed asciugato con cura e quel giusto livello di disordine, premessa di un evento importante, rendevano Giuseppe allegro e “frizzante”.
Anche lui aveva il suo piccolo bagaglio, un paio di giornalini, una macchinina da portare in vacanza, un pacchetto di caramelle.
Per guadagnare tempo e non stancarsi troppo si viaggiava di notte.
All’ora prevista un taxi verde e nero avrebbe prelevato la famigliola per scaricarla dopo venti minuti davanti ai grandi archi della stazione, iniziava l’avventura.
Il papà di Giuseppe prenotava uno “scompartimento con cuccette” completo, cosicché era possibile utilizzarlo come se fosse una stanzetta tutta per loro.
Il lungo serpente marrone era immobile lungo il marciapiede e, vicino allo sportello del vagone, un ferroviere serio ed impeccabile controllava i biglietti che il papà gli aveva consegnato.
Giuseppe, emozionato, era impaziente di salire in carrozza e le sue narici si riempivano di quell’odore speciale che si sentiva solo in stazione.
Lo scompartimento aveva quattro lettucci sovrapposti, due su un lato e due sull’altro, c’era una piccola scaletta per poter salire sui letti superiori, un largo ripiano per appoggiare i bagagli e delle retine dove si potevano inserire quelle piccole cose che potevano servire durante il viaggio.
Giuseppe guadagnava uno dei letti in alto, sistemava il piccolo bagaglio e si divertiva ad accendere e spegnere la piccola lampada vicino al cuscino.
Il letto era diverso dal lettino di casa: un lenzuolo candido che scappava di qua e di là, una coperta grigia e le imbottiture di velluto un po' “spinoso”.
Ma quel letto era il più bello del mondo e lo faceva sentire grande.
Lo scompartimento aveva una luce centrale, dopo la partenza, ad un certo orario, papà spegneva la luce, automaticamente si accendeva una lampada blu fioca fioca e tutto il piccolo ambiente assumeva questa strana colorazione.
Era bello viaggiare di notte perché il treno cullava e la mattina ti svegliava la prima luce che filtrava dalle tendine.
Potevi sbirciare dal finestrino la campagna ancora addormentata, attraversando i paesi e le città si vedeva iniziare la nuova giornata, le persone nelle loro case: chi faceva colazione, chi stendeva i panni al balcone, chi indossava una giacca, bambini che giocavano, un “fermo immagine”, dato dalla velocità del treno, che congelava le figure.
A Giuseppe piaceva viaggiare per vedere tutte queste cose.
All’arrivo, quando il treno rallentava per affrontare i binari annodati poco prima della stazione, Giuseppe era autorizzato ad aprire il finestrino per guardare fuori.
Lentissimo il convoglio si insinuava sotto una pensilina, lungo il marciapiede persone in attesa, Giuseppe guardava lontano, cercava il nonno che, in fondo al marciapiede era pronto ad abbracciarli.
E il lungo convoglio, oramai fermo e silenzioso, poteva riposare.