Il caldo era opprimente, eppure la nostra guida, Ramin, lo sopportava con dignità e indifferenza, avvolto nel suo caffettano color avorio.
L'ispida barba incolta, appena puntinata di bianco e gli occhiali dalle spesse lenti, contornate da una montatura nera, gli conferivano un aspetto austero che contrastava con la sua simpatia.
Io, nella mia pur breve esistenza, un calore simile lo avevo respirato, sino ad allora, solo sotto la volta di spesso nailon della serra al cui interno mio zio coltivava pomodori.
L'aria, benché immobile, pareva soffiasse, senza sosta alcuna, una densa sostanza nelle narici.
Seguivamo Ramin attraverso vicoli più o meno bui della città di Fez.
Terra battuta, pozzanghere, sotto i piedi.
Mi accorsi di un furtivo sguardo da una bottega di rame. Una bambina, forse mia coetanea, mi stava osservando. Tese la mano e mi chiese un diram. Avevo undici anni, non avevo soldi. La bambina mi sorrise.
Proseguimmo a zig zag nel souk.
Se Ramin ci avesse abbandonato avremmo faticato a ritrovare il cammino.
Quella sostanza densa ora torturava le narici. Ne scoprii l'origine. Una catasta di teste mozzate di bovino brulicava di nugoli di mosche.
Salimmo una scala e, da un terrazzo, osservammo con stupore vasche circolari contenenti liquidi di colore diverso. Rosso, giallo, arancione marrone verde si evidenziavano sullo sfondo monocromo.
In alcune, uomini erano immersi sino alla vita e calpestavano le pelli che vi erano immerse.
Ramin ci spiegò il lavoro millenario della conciatura. Le pelli dapprima vengono immerse in una soluzione di urina bovina, acqua, sale e calce viva, poi in vasche con guano di piccione, per ammorbidirle, infine nelle vasche colorate.
Lo spettacolo era incredibile.
Al collo avevo una vecchia Agfa con la pellicola in bianco e nero. Terminai il rullino da 24 pose.
Durante il ritorno, incontrai di nuovo la bambina del negozio di rame. Mentre i miei genitori si godevano un tè alla menta, e trattavano l'acquisto, la bambina mi prese in disparte.
Si avvicinò.
Rimasi immobile.
Il suo viso era sotto il mio mento. Profumava di sandalo e rosa.
Mi annusò. Mi respirò.
Mi guardò negli occhi per un tempo indefinito, sorrise e corse nel retrobottega.