Di notte, rigirandosi nel letto, alla ricerca di una posizione impossibile da trovare, prova a fare un bilancio della giornata.
- Era stato un risveglio fiacco, dalla finestra un cielo uggioso non le dava il buongiorno. Alzarsi, con una voglia di rimanere nel torpore del letto. Riprendere contatto con il meccanico quotidiano, lontana dal morbido flusso della notte, in cui tutto non è, e tutto può essere.
E poi rincontrarlo, così, per caso e, dopo i primi attimi di imbarazzo, iniziare a parlare come se tutti quegli anni non fossero passati. Come essersi salutati la sera prima. Cercare in quel viso invecchiato e trovare intatti i segni di quello che era, di quello che erano. E le mani intrecciate, e il calore.
Poi, ritornare a casa su una nuvoletta rosa, come un’adolescente dopo il primo appuntamento. Scema. Felice. Piena di futuro.
Il telefono vibra, messaggio: «vorrei tanto ma, devi capire, i miei figli … mia moglie … il mio lavoro». Il suo lavoro, poi: questa non le è affatto nuova! Prima era lo studio, ora il lavoro.
E sente che è così, è così davvero, e lei non potrà farci niente.
Sarebbe potuta essere una giornata come le altre, non aveva chiesto lei quello squarcio di vita, quel fiotto di emozione. E di certo non aveva chiesto lo strappo, la durezza del risveglio dopo un sogno. -
Il cuscino ormai non rimanda fresco, solo umido fastidio. Le lenzuola sono un peso insopportabile.
Si alza, sul balcone un po’ d’aria, respira, sollievo. La notte con il suo ritmo dolce, immobile ma vivo, realmente vivo. Pace. Luci distanti, vento sul viso. La notte, profonda, la avvolge in un ultimo abbraccio.