NDA: i diritti sul personaggio di S.H. sono scaduti.
«La vedo pensieroso, Watson».
Rimanevo sempre un po’ sorpreso quando Sherlock Holmes mostrava interesse per i moti d’animo altrui. Non che fosse incapace di coglierli, tutt’altro, ma raramente li reputava degni di attenzione, proprio come raramente manifestava i propri sentimenti.
Ormai eravamo in pensione e potevamo permetterci di perdere i pomeriggi al mercato dell’usato di Eastbourne. La guerra era finita (non senza che Holmes avesse apportato il proprio contributo alla vittoria), la nostra vita lavorativa conclusa, il mondo che conoscevamo scomparso e un pallido sole invernale tentava di rincuorarci promettendo una primavera lontana.
«Ebbene, Watson?» incalzò Holmes.
«Guardavo quelle» risposi indicando un paio di scarpe su un bancone.
«Scarpe da bambino. Poco usate» disse Holmes.
«Già» sospirai.
Holmes mi posò una mano sulla spalla «Ah, vecchio mio, lei è impagabile. Malgrado l’età non più verde, non desiste dal suo sport preferito: il salto alle conclusioni».
«Le vede anche lei: scarpe da bambino quasi nuove vendute al mercato dell’usato» risposi. Mi resi conto che il mio tono era un po’ piccato, quasi un’eco dei nostri antichi, piacevoli battibecchi.
«E lei, esercitandosi in quello che nei suoi scritti ha battezzato “il trucco”, ha immaginato una storia strappalacrime a proposito di un bambino tragicamente scomparso e una famiglia in ristrettezze».
«Suvvia, Holmes, non mi dica che...».
«È una possibilità, Watson. Ma non è che una tra tante, formulata senza un’adeguata osservazione dei fatti e sposata senza riflettere».
«E quali sarebbero le altre ipotesi?» chiesi sapendo, nello stesso stesso istante, che mi sarei pentito. Come aveva detto Holmes, non avevo ancora imparato il trucco. E, vista la mia età, potevo dire che non lo avrei imparato mai.
Holmes ridacchiò «Proviamo a praticare il suo sport, vecchio mio». Aggrottò la fronte e, contando sulle dita, disse: «Primo: le scarpe hanno un difetto e il bambino, dopo averle messe per poco tempo, si è rifiutato di indossarle. Dovremmo esaminarle più da vicino, ma dubito che il rigattiere ce lo consentirebbe». Sospirai. Holmes, implacabile, continuò: «Secondo: i piedi del bambino hanno un lieve difetto. Se si trattasse di scarpe fatte a mano non ci sarebbe nessun problema, ma quelle...» le indicò «sono calzature industriali, probabilmente regalate da qualcuno che non conosce bene il beneficiario. Il bambino le ha portate, poi si è accorto che erano scomode. Oppure semplicemente troppo strette o troppo corte».
«Mi pare un’ipotesi azzardata» obbiettai.
«Sarebbe facile da verificare. Anzi, come medico lei saprebbe farlo meglio di me. Basterebbe osservare come sono consumate. Se ne potrebbe dedurre che chi, anche se per poco, le ha portate, aveva un’andatura particolare, oppure che le scarpe erano inadeguate alle dimensioni o alla forma del piede».
Mi ricordai di come Holmes, osservandone l'impronta, avesse intuito che un responsabile dei delitti di cui al Caso del Segno dei Quattro era un selvaggio delle isole Tonga.
«Sono ipotesi probabili quanto quella, melodrammatica, da lei formulata, non crede?» chiese. Notai che il rigattiere (Ernest, diceva l’insegna) ci fissava con astio misto a curiosità: che cosa avevamo da blaterare a proposito dei suoi articoli? Holmes, tuttavia, non parve darsene inteso.
«Possiamo lanciarci in storie più fantasiose» proseguì imperterrito «Sono scarpe invernali e il nostro giovane amico è partito, insieme ai genitori, per un lungo viaggio in un paese caldo dal quale è tornato abbronzato, arricchito di esperienze e con piedi più grandi». Ridacchiò di nuovo. «Come vede, la sua tragica storia diventa solo una fra le tante, relativamente evanescente».
Sorrisi a mia volta «Penso proprio di sì».
Holmes parve accorgersi delle occhiatacce di Ernest il rigattiere (o, più probabilmente, le reputò degne di considerazione), mi prese per un braccio e mi condusse via.
«La verità, mio caro Watson» concluse «è che lei si è lasciato influenzare da una preesistente disposizione d’animo malinconica. Un pre – giudizio. Invece...» con un gesto abbracciò il caotico mercato dell’usato di Eastbourne «viviamo in un mondo disordinato nel quale esaminare tutte le ipotesi probabili è quantomai arduo e discernere la verità è forse impossibile».
Colsi una nota di malinconia nella sua voce e mi chiesi se quella pantomima a proposito delle scarpe non fosse che un espediente per dissipare l’ombra di tristezza che gravava su di me.
Ma, come ho detto, Holmes non era uomo che manifestasse facilmente i propri sentimenti.