Sono forse poeta o sono la poesia della vita che colora gli occhi e il cuore del suo mistero e della sua bellezza?
Non ho mai cercato la poesia nei libri, non ho frequentato alcuna università. L’ho cercata, senza saperlo, dentro di me, nel mio sentire e ho cercato le parole per esprimerla, per rendere evidente ciò che è trascurato, visibile ciò che è invisibile.
Nel 1974, a 35 anni, scrissi i miei primi versi come espressione di qualcosa dentro di me che voleva disperatamente essere: Perché sei triste? / Perché trascini un cuore stanco / gonfio di sospiri? / Non ti ha forse insegnato la vita / che saggezza può nascere / là dove brucia il tormento?
Furore, fuoco segnarono all’inizio la mia scrittura: Un furore che brucia / una mente tagliente / chi potrà mai/salvarmi da me? Oppure: Poesia / come fuoco divori la carta / cenere di parole nell’azzurro!
Il “fare” poesia continuò come specchio di uno stato dell’essere e si trasformò in India, 13 anni dopo: Ho paura di te / vuoto di un momento ignoto; Oppure: Mi sento nuova e pulita / e ancora vecchia e sporca. E: La mia dimora / è uno spazio di silenzio. / Il mio compagno / il vento. O ancora: Un torrente di gioia zampilla / sugli scogli della vita.
Nello stesso periodo il mio compagno di vita mi disse: “Savina, smetti di scrivere poemi e lascia che tutta la tua vita diventi poesia…”. Mi ci vollero due decenni per capire, rileggendo i miei scritti (che non smisi mai) che l’intuizione e la grazia di un istante erano diventate esperienza di vita; per accorgermi che pur non sapendo ciò che vado scrivendo, le parole tracciano solchi profondi nella mia anima e rivelano e trasformano il rapporto che ho con me stessa, con gli altri, con il mondo, lasciandomi piena di stupore: A vele spiegate / navigo senza vento. / Ciò che voglio lo prendo. / Ciò che dono / ha bagliori di fuoco.
Scopro, attraverso la scrittura, la bellezza del mio “pizzico di follia” che mi è di grande aiuto nel vivere una sensibilità “diversa”, una multidimensionalità che mi apre occhi, orecchi, cuore e orizzonti e mi fa dire: Io sono matta di un’altra follia, / non è la tua, ma è anche la mia. / È una pazzia / che brilla soffusa ed esce gioiosa. / Di nulla si cura, / non sa per che cosa è così contenta / di essere a casa. / Dire non posso / cosa essa sia.
Versi arrivano dopo esperienze di gruppo, come questo Inno al Tamburo nato durante la costruzione del mio tamburo sciamanico: Risonanza / di un suono magico / vestito di pelle sacra / cucita con ago, / sudore e filo. / Teso come l’anima mia. / Battiti di cuore antico / radicati in un vuoto / dal sapore di terra /….. e la pancia mi ha sorriso.
Dopo un colloquio di lavoro: Due cammini si sfiorano passando, muti, / nel silenzio sospeso di uno sguardo. Dopo una notte insonne: Una candela brucia / il silenzio della notte. Durante uno spostamento in treno: Abbondanza: / un lungo viaggio in seconda / con due posti per stendermi. Oppure osservandomi: Il mio corpo mi sta stretto / come un orizzonte limitato.
L’espressione poetica che preferisco è il silenzio, quando Le parole muoiono / sulle labbra del cuore / innocente pulsare della vita. Quando mi rendo conto che Tutto sta già succedendo / quando nulla accade in una giornata qualunque!
Poesia è ascolto di me e anche ascolto degli altri, perché la trovo nelle espressioni della gente comune, che è poeta ma non sa di dire poesia: come quando una monaca scrive del suo cane che ha lasciato in una masseria vicino al convento: “Vorrei essere seppellita col suo guinzaglio.” Quando la stessa monaca, allo scoccare dei suoi 70 anni dice: “Sono diversamente giovane.” Quando una contadina in un bar ordina una cioccolata e dice: “Oggi ho fatto un’improvvisata al mio stomaco.” Quando un conduttore di risciò non frena, perché non ha visto le cunette, e dice: “Le cunette non sono arrivate ai miei occhi!”.
Tenere il giusto rapporto tra il sé e la parola è un lavoro continuo; crea un orecchio musicale senza aver mai fatto musica, perché il suono di una parola vicino a un’altra o la loro lontananza, la costruzione dei suoni che così si creano danno vita a dei significati, a un senso, a un ritmo. Parole che possono entrare nel corpo energetico dell’altro, creando onde vibrazionali che invitano al silenzio. Non è quello che i maestri di vita hanno sempre fatto con tutti noi?
Sono forse poeta? O sono piuttosto la poesia della vita che ha urgenza di esprimersi usando il linguaggio della sensibilità che la vita stessa mi ha dato in regalo.....?