I Sogni perduti
Tutte le mattine mi sveglio alle cinque, un’abitudine consolidata negli anni dal mio lavoro. Abituato ad alzatacce mattutine, ora sono in pensione e potrei evitarlo, ma è troppo tardi per cambiare. Mi crogiolo un po’ a letto, ma alle sei non resisto più, mi devo alzare. Sono in cucina, preparo il caffé e la colazione per chi si alzerà dopo di me. La finestra si apre sul buio, ma dall’orizzonte marino si alza il chiarore dell’aurora. Pochi minuti e il sole uscirà per illuminare il nuovo giorno. Il caffé è quasi pronto, la televisione trasmette il notiziario e come tutte le mattine spero di non udire notizie di morte, purtroppo, non passa giorno che qualcuno non lasci il nostro mondo per iniziare un nuovo viaggio, che a noi viventi non è consentito fare. Una volta un giornalista, un’altra un premio nobel, un attore, un cantante o un campione dello sport, ormai arrivato al suo ultimo traguardo. Quanti! Ogni volta dispiace sentire di queste persone, che hanno fatto parte della mia vita. Qualche giorno fa, purtroppo, ho appreso che Moira ci ha lasciato, la donna che ha accompagnato la mia gioventù, la diva che rappresentava la bellezza latina e nei suoi film era provocante, altezzosa, fiera del suo corpo. Noi giovani di allora eravamo attratti dalle forme del suo corpo, era il sogno di molti di noi. La donna che qualche volta andavamo a vedere al circo, non era la stessa dei nostri sogni. Nella realtà non era così affascinante come i personaggi dei film, era solo una donna capace di incutere anche timori con la sua dimestichezza con gli animali, gli elefanti, i cavalli e tutti gli altri che lei usava negli spettacoli. Con lei sfuma per sempre il sogno della gioventù, un richiamo alla realtà che ti vede vecchio e senza sogni. Ti guardi allo specchio e rifletti sul significato di quella perdita, era appena ieri che ti appassionavi ai film della diva ed ora vedi riflesso il viso di un vecchio che rimane sempre più solo, ad uno a uno, i compagni di viaggio si perdono per strada, non hai più riferimenti. Oggi arriva come un fulmine la notizia. “ è morto Luca de Filippo." Stavo sorseggiando il caffé in piedi davanti alla finestra, attirato dal sorgere del sole ed ecco che l’orecchio sente quelle parole. Resto così immobile con la tazzina in mano, sospeso come fra terra e cielo, attonito, Luca ci ha lasciato, anche lui! Un altro pezzo di cuore che si perde per strada. Un amico, un compagno, un attore che ho avuto il piacere di conoscere, di stringere la sua mano, per congratularmi con lui, per la bravura, per aver saputo continuare il messaggio e l'arte del padre. Ha fatto parte della mia vita da, quando ha messo per la prima volta i piedi sul palcoscenico, nel lontano 1955, io c’ero! Ci sono sempre stato, ad ogni sua performance, in teatro, in televisione, dovunque lui fosse, c’ero anche io, sessanta anni insieme, uno di fronte all’altro, lui sul palco ed io nella platea. In gioventù facevo parte della claque, una dozzina di ragazzi guidati da un capo che nei momenti opportuni doveva sbattere le mani.
Era una prassi comune a quei tempi. Questa opportunità mi ha permesso di seguire tutti i suoi lavori. In seguito da spettatore pagante ero sempre in prima fila per non perdermi un solo momento. Molte volte, notavo il suo sguardo stanco, recitava senza convinzione, la monotonia di dover ripetere tutti i giorni la rappresentazione di un personaggio ridente, arguto, spiritoso, mentre lui, magari, in quel momento aveva un gran mal di testa e voleva solo riposare. Gli lanciavo occhiate di conforto, uno stimolo a continuare la farsa del comico brillante, e lui si riprendeva, da grande professionista qual'era, continuava con la bravura di sempre.
Era un compagno di viaggio famoso, ma mi piace pensare a lui come un amico, che ha saputo farmi ridere, piangere e spesso riflettere. Poi una mattina arriva la notizia che non c'è più, colpito da questa piaga purulenta che infesta il nostro mondo. Il male! Quel male che non guarda in faccia nessuno, attacca e distrugge chiunque, spezza i sogni d'uomini, donne, bambini, persone che avevano qualcosa da realizzare, ricordi da conservare per rendere più accettabile il prosieguo della propria vita. Oggi una parte consistente di me è stata frantumata da questa notizia. Sono ancora più solo e con una certezza in meno, quella di trovare ad aspettarmi, sulle tavole di un teatro, un amico. Una persona semplice, che si era preso l’incarico di far ridere la gente, di divertirla, lui un giullare che non sapeva ridere, che suscitava meraviglia con quei suoi grandi occhi umidi, lontano dalla polvere del palcoscenico si sentiva fuori posto, la sua aria timida lo rendeva ben accetto, come un amico di famiglia, entrava in punta di piedi nelle case, quasi a chiedere il permesso di poter recitare per ognuno di noi.
Non era vero, “ nun me piace ‘o presepe”, lui lo amava. Amava la famiglia ed ora se ne andato. Buon viaggio amico mio, prenotami un posto in prima fila nel nuovo teatro dove andrai. Sono sicuro che avrai ancora e per l’eternità il teatro tutto esaurito.