8 maggio 2103
Una settimana è passata, una settimana come le altre, fatta di corpi che si succedono nel violentarmi, di sguardi vuoti che si perdono nei miei occhi. Il lusso dorato delle stanze non fa che amplificare la miseria che abita dentro di me. I giorni si confondono, e il riflesso di una vita che non è la mia mi osserva dallo specchio, un'immagine distorta di ciò che ero.
Oggi è venuto a trovarmi Ernesto, il padrone che fa il medico per gioco. Avevo imparato a tollerarlo e forse addirittura a gradirlo, per quella sua gentilezza che era riuscita a scalfire la superficie opaca della mia esistenza.
Questa volta è diverso: Ernesto mi guarda dritta negli occhi e dice: «Voglio scoparti». La sorpresa mi attraversa come una scarica elettrica. Non era mai stato così esplicito prima d'ora, la sua richiesta mi fa gelare il sangue.
Senza troppi complimenti, Ernesto mi abbraccia, mi riempe di baci indugiando sui miei seni, mi penetra. La dolcezza fa però capolino tra le sue parole. «Non sarai solo un corpo per me, Elena. Voglio amarti». Ho imparato tuttavia a conoscere i padroni e i loro capricci. Ma qualcosa in lui mi spinge a credergli, per me è come se mi si offrisse un rifugio, un porto sicuro nella burrasca che è diventata la mia vita.
15 maggio 2103
Scrivo solo oggi, perché soltanto adesso ho qualcosa da dire. Continua senza interruzione la processione dei soliti maiali di padroni. Odio quelle mani così pesanti che continuano a stropicciare il mio corpo, odio quegli aliti che puzzano di alcol, odio la supponenza che mostrano quando credono di potermi dare piacere infilandomela in tutti i possibili orifizi.
Anche Ernesto è venuto a trovarmi spesso in questi giorni. «Vuoi far l’amore con me?», mi chiede, quasi potessi negarglielo. Non glielo nego, infatti, ma lui si comporta sempre con tanta dolcezza e ripete che mi ama. Ieri mi ha sorpreso: «Non voglio che tu faccia sesso con me se non lo vuoi anche tu». Io ho risposto «Non voglio!», sono scoppiata a ridere e l’ho baciato sulla bocca. Per la prima volta nella mia vita ho provato un orgasmo. E oggi scopro di aspettare con impazienza l’arrivo di Ernesto. So che non dovrei fidarmi di lui, ma in realtà lo sto già facendo.
17 maggio 2103
Anche oggi Ernesto è venuto a trovarmi. Questa volta i suoi occhi erano velati da un'ombra. Si è seduto accanto a me. «Elena, c'è qualcosa che devi sapere. Qualcosa che non posso più ignorare». Ha poi abbassato lo sguardo per un istante, come per cercare le parole giuste. «Una donna, una madre con in braccio un bambino malato, si è presentata oggi alle porte della città. Voleva che curassimo la leucemia del piccolo. Ma qui, sai bene, le cure sono riservate solo ai residenti». Io ho provato un brivido di terrore per quella madre e il suo bambino.
«Ha rifiutato di andarsene», continuò Ernesto con voce sommessa. «I robot guardiani hanno cercato di allontanarla, ma lei ha resistito. Hanno sparato e li hanno uccisi entrambi».
Ho sentito un groppo alla gola. La brutalità dell'elite non ha limiti. «Come possiamo vivere in un mondo così crudele?» ho sussurrato.
18 maggio 2103
«Elena, c'è qualcosa che devi sapere di me», mi ha detto oggi Ernesto, guardandomi intensamente. «Tu sai che sono un medico, ma sono anche un padrone: con l’Intelligenza Artificiale mio nonno e mio padre hanno sviluppato i programmi di apprendimento automatico per i paria, quelli con cui hai studiato tu. Molti insegnanti sono stati licenziati, ma i profitti per l’azienda di famiglia sono stati e continuano ad essere enormi. Non sono capace di non far nulla e così, per trascorrere il tempo, ho studiato medicina».
«Ho chiesto di poter esercitare la mia professione tra i paria e il Consiglio d’Amministrazione della città me lo ha permesso. Ho cominciato ad andarmene in giro con un vecchio ecografo, a fare medicazioni e piccoli interventi chirurgici, a distribuire antibiotici. Quasi tutto è illegale: fuori dalla città non si possono portare medicinali o attrezzature mediche. Ma loro mi permettono di fare quelli che io chiamo i miei “safari” presso questi poveracci. Curandolo loro e soprattutto i loro bambini sono entrato in confidenza con molti. Spesso ricevo le confidenze di tanti paria. In cambio, devo riportare in città informazioni e pettegolezzi. Ai paria manca di tutto e ogni tipo di ribellione sembra estremamente improbabile. Ma i padroni continuano a temerli, ho così cominciato a fare l’infiltrato, a osservare e raccogliere voci».
Ernesto riprese fiato e continuò: «Negli ultimi tempi, ho cominciato a vedere l'umanità tra i paria. Ieri, con la morte di quella povera donna e del suo bambino mi sono reso conto che tutto quello che fa l'elite è sbagliato».
Io lo fissai, stupita: «Cosa stai dicendo? Come posso fidarmi di te? E come potrebbe mai una povera prostituta essere utile?».
«Elena, puoi fidarti di me perché sai bene che l’élite non esiterebbe a eliminarmi se venisse a sapere quello che ti ho appena rivelato. Voglio aiutarti, Elena. Voglio aiutare i paria. So che sembra impossibile, ma dobbiamo poter fare qualcosa. Dobbiamo trovare un modo per ribellarci».
10 giugno 2103
La mia vita continua a scorrere come un fiume di dolore. Le mani e i corpi che si alternano in questa mia prigione mi fanno sentire ancora più sola. Non sono la “piccola geisha” di nessuno.
Sono preoccupata per Ernesto. Mi ha detto che sarebbe partito per uno dei suoi “safari”, ma ormai non lo vedo e non ho sue notizie da più di due settimane. Temo che possa essere stato scoperto ed è un tormento non poter neppure chiedere di lui.