Marco era un ragazzo di montagna, taciturno, scontroso e abituato ai grandi silenzi delle alte vette. La sua vita quotidiana era improntata alla massima semplicità, La coltivazione di un appezzamento di terra, proprietà della famiglia, che richiedeva solo tanta fatica e scarsi ricavati e le interminabili giornate sugli alpeggi al seguito della mandria. Era un giovanotto alto un metro e novanta e pesava più di un quintale. Era un vero gigante, robusto e allenato alla fatica. Come tutte le persone della sua stazza, aveva un carattere gioviale e bonario, sempre disponibile con tutti. Il suo sorriso e una innata bontà lo rendevano ben accetto da tutti. Non c’era abitante in tutta la valle che non conosceva la sua mole e la consueta generosità verso il prossimo.
Ringraziava il Signore che gli aveva dato quella corporatura da gigante, diceva che così, poteva essere più facilmente d'aiuto ai più deboli. Non contento, di quanto già faceva, decise di creare una sorta di associazione laica. Non desiderava aggregarsi a nessuna bandiera, a nessuna parrocchia. Non amava le chiacchiere, la pubblicità fine a se stessa. Se c’era bisogno, lui era presente, senza dare nell’occhio, lavorava lontano dai riflettori.
Dopo vari tentativi, alla fine, riuscì a mettere insieme una squadra, formata da lui, due suoi cugini e una coppia di fidanzati, giovani che facevano parte di un altro gruppo di volontari, ma che ne erano usciti perché non soddisfatti del comportamento dei colleghi nei momenti di crisi.
I cugini, valenti meccanici, riuscirono dopo mesi di lavoro, a modificare un vecchio pulmino scolastico che il comune aveva mandato in rottamazione. Gli rifecero il motore. Chiusero tutti i finestrini lasciandone solo uno per lato, per arieggiare in caso di necessità. Due persone davanti, il guidatore e uno al fianco, altri tre subito dietro. Tutto il resto dello spazio fu utilizzato per una sorta di magazzino, con tutto il materiale che poteva servire. Una specie d'unità di crisi che si attivava laddove ce ne fosse bisogno. Nel recente autunno, appena trascorso, Genova era stata la località più flagellata dal cattivo tempo e il gruppo di Marco, fu uno dei primi ad intervenire. Scelsero di proposito luoghi lontano dal centro, dove c’era più bisogno, ma nessuno ci andava perché scomodo arrivarci e poi erano poco visibili dai media. Il logo che avevano scelto da mettere sul furgone, completamente bianco erano due mani che si stringevano come in un saluto e sotto la scritta “ Angeli “ Dormivano sempre all’interno del furgone, non erano d’impiccio a nessuno. Arrivavano, lavoravano e ripartivano, in silenzio, a loro bastavano gli sguardi di gratitudine della gente che riuscivano a trarre d’impaccio. Marco era infaticabile, quando gli amici prendevano una pausa, lui continuava da solo, si giustificava dicendo che quel lavoro per lui non era niente di faticoso, era abituato a ben altro lassù sui suoi monti.
Rimasero a Genova una settimana, spalando fango, svuotando locali dall’acqua fetida, l'odore della morte aveva impregnato la vita di molte persone. Ripartirono con ancora nelle orecchie il grazie di quanti avevano aiutato. Ritornarono di nuovo, dopo una settimana d'intervallo, per completare quanto avevano iniziato.
Erano intenti al lavoro, quando arrivò un furgoncino con le antenne dal quale scesero due persone, una ragazza e un uomo fornito di telecamera
- Buongiorno ragazzi, finalmente vi ho trovati, abbiamo ricevuto molte segnalazioni su di voi, sul vostro lodevole impegno, potete fermarvi un attimo, vorrei farvi delle domande
Marco fu il primo a rispondere, mettendosi davanti alla telecamera, ma di spalle e continuando a spalare.
- Avete sbagliato strada e anche persone, qui stiamo lavorando, se vi levate davanti forse faremo prima, senza voi che intralciate
- Scusa, - rispose indispettita la ragazza - io devo fare il mio lavoro, la gente vuole sapere chi sono questi angeli che stanno facendo un ottimo servizio per la popolazione.
- Senti, rispose marco, prima mi devi illustrare per bene quale sarebbe questo tuo lavoro, poi, se vuoi fare un servizio alla comunità, posa quel microfono e mettiti a spalare, tu e il tuo amico, più siamo, più presto faremo, ora cerca di andar via che ci fai perdere tempo. Andate nel centro là ci sono tanti altri gruppi di volontari, vai da loro.
- Lo sai che sei uno scorbutico scostumato, io devo intervistarvi, è il mio lavoro, non puoi impedirmi di farlo.
- Di grazia, quale sarebbe questo lavoro, quello di importunare la gente che lavora sul serio? Il tuo cosiddetto lavoro non serve a nessuno. Non è utile, dire in televisione un nome, non cambia niente, come mi chiamo io, a chi importa? quello che stiamo facendo lo si vede, che tipo di domanda cretina vuoi fare? Tu piuttosto, se ti riesce, cerca di cambiarlo questo lavoro, fai qualcosa di utile per te e per gli altri, non perdere tempo in cose futili, chi ha perso la casa e tutto il suo lavoro, non ha né interesse, né voglia di stare lì a guardare una come te che parla di cose che non capisce, se proprio non lo trovi un altro impiego, vieni a trovarmi su in montagna, qualcosa da fare per i tipi come te c’è sempre. Ora scusa ma devo proprio andare avanti. Tu non vuoi che io impedisca il tuo lavoro, però vuoi ostacolare il mio.
Così dicendo avanzò di qualche passo davanti all’interdetta ragazza. Nello spalare Marco si girò per buttare il fango di lato, ma buona parte del contenuto della pala fini addosso al cameraman e alla donna con il microfono in mano. Li lasciò lì ad imprecare e avanzò ancora verso l’uscio di un’abitazione, dal quale una donna anziana, che aveva assistito alla scena, stava applaudendo ai giovani e a quel gigante dal sorriso buono.
A fine di giornata, quando si ritirarono nel furgone per la solita frugale cena, pane, caciotta e soppressata, annaffiata da un fiasco di vino si divertirono a rivedere la scena di quei due imbrattati di fango dalla testa ai piedi.
- sei stato grande Marco, dissero gli amici – ci voleva proprio. Quei due damerini pensavano di fare i galletti sulle fatiche degli altri, vengono, fanno quattro domande cretine, fanno vedere qualche immagine ed è tutto lì il loro cosiddetto lavoro.
Noi facciamo quello che riteniamo giusto, perchè vogliamo farlo, non certo perché vogliamo andare in televisione. Ognuno si comporta secondo la propria coscienza, quella gente lì è schiava della pubblicità, dell’ignoranza, dei finti valori, sono figli di una carità pelosa, che deve essere vista, spiattellata in piazza, dibattuta da altri parassiti che, pagati più dei loro meriti, se ne stanno seduti comodamente nelle poltrone e parlano, sparlano e sentenziano a sproposito, su argomenti di cui, non sanno assolutamente niente.
Noi, fortunatamente, siamo diversi, aiutiamo il prossimo, siamo “ Angeli”
Sì rispose ridendo Marco: angeli nel fango…..