Di nuovo è arrivato quel momento che aspetto quando inizia settembre.
Il momento in cui i fiori invadenti dell’elianto mi distraggono mentre percorro in auto la strada statale da casa al lavoro.
Basta che qualche corolla sbocciata faccia la sua apparizione e mi metto in agitazione.
C’è chi impazzisce per cercare o raccoglier funghi...
Quei mazzi di giallo che, in brocche o larghi pentolini di rame, campeggiano, disseminati per casa, giuro, mi fanno lo stesso effetto di un bicchiere di vino di troppo.
Nel mio piccolo giardino non ho spazio a sufficienza per ospitare il tubero del topinambur che si ambienta facilmente e si riproduce altrettanto facilmente senza necessitare di particolari attenzioni o cure.
Avranno pure un aspetto disordinato ma la loro fioritura occupa, oltre che nella macchina, una posizione importante nelle mie giornate.
Ricordo mia nonna, nata nel 1914 e vissuta oltre gli ottant’anni.
Le camminate per arrivare alle piante, se così si possono chiamare, che si trovavano nel fosso di fronte al campo da pallone del paese, la facevano da padrone negli ultimi sprazzi di stagione.
Del 1959, avevo, all’incirca otto anni.
E quell’odore di campagna mi sembra di sentirlo ancora nel naso.
Ci si andava apposta. E non ci si preoccupava del cambiare l’acqua o del giallo di cui si tingevano i centrini, candidi, sotto oggetti o vasi, in alto nella considerazione della massaia.
E’ ottimo (il sapore è simile a quello del carciofo) trifolato in padella con olio e aglio.
Si cucina in una quindicina di minuti: poca acqua a consumare, mezzo dado, aggiunta di prezzemolo e di un pizzico di pepe macinato a piacere.