Maria era nata ed era perfetta.
Sicuramente i nove mesi di gravidanza sono un periodo speciale per ogni donna e io non feci certo eccezione. Li vissi tutti con intensità e consapevolezza. E ci misi anche del mio.
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Sono sempre stata ossessionata dal controllo, dicono i superficiali che mi circondano. Non riesco ad evitare di vivere, contemporaneamente al presente, tanti possibili futuri alternativi che potrebbero materializzarsi come risultato delle scelte da fare. E’ un dono a volte, per lo più è una maledizione.
Paolo, mio marito, afferma che sono come un giocatore di scacchi che cerca di immaginare tutte le mosse che seguiranno quella che sto per fare. «Ma hai due problemi» pontifica saccente «che ti batti con il fato, noto giocatore sleale, e che il tempo alla fine scade e dovrai in ogni caso decidere incrociando le dita!» E ride.
Che c’è da ridere?
L’ho amato subito però, d’istinto. Incredibile. Come due metà diverse ma combacianti ci siamo combinati perfettamente. E due mesi dopo il primo incontro siamo andati a vivere insieme. Dopo quattro anni la confluenza ci ha portato prima all’idea di Maria, poi al bisogno di Maria e infine alla creazione di Maria.
I nove mesi successivi Paolo li ricorderà per sempre, temo. Nei mesi di gravidanza la mia esigenza di controllo spostò immediatamente il suo interesse da me a Maria dentro di me. Le battute di Paolo non potevano vincere contro il mio senso di responsabilità verso terzi!
Nessuno diede spago alle mie nuove esigenze. Il ginecologo non intese effettuare una ecografia a settimana. Il medico di famiglia sembrò sempre più infastidito dalle mie telefonate quasi giornaliere tese ad accertare che non avessi sintomi sospetti. Gli amici cominciarono ad accampare scuse per evitare serate con me ad ascoltarmi lamentare del sistema sanitario che lasciava una povera mamma senza certezze.
Credo sia cominciato tutto da una chiacchierata con la donna che mi aiutava a tenere in ordine casa. Il racconto classico di una delle sue gravidanze e del marito costretto a cercare un’albicocca a gennaio per una sua voglia da gestante: «Capisce signora, non si poteva mica correre il rischio che il piccolo nascesse macchiato di giallo!» Sul momento ci risi e mi sembrò di non pensarci più.
Invece no. Il pensiero di conseguenze nefaste sulla carnagione della mia piccola dovute ai miei desideri incontrollati cominciò a ritornare sempre più spesso. Da ricordo divertente della conversazione avuta all’incontrollabile meditazione sul «e se per caso ci fosse qualcosa di vero?» Ero al sesto mese di gestazione quando ebbi la certezza che le mie voglie insoddisfatte avrebbero generato effetti terribili su Maria!
Lì cominciò l’inferno di Paolo. Tre mesi e mezzo di tortura mentale e di figure terribili fatte con chiunque, nei più svariati luoghi, per compiere imprese, apparentemente impossibili, a causa del panico incontrollabile di una donna ormai tendenzialmente disperata (io).
Il povero disgraziato dovette disturbare molte persone nel pieno della notte per ottenere beni commestibili insoliti che se io non avessi mangiato avrebbero marchiato per sempre Maria. Perdendo la faccia riuscì ad evitare alla pelle di nostra figlia il rischio del rosso di fragole, mirtilli e prugne; la minaccia del giallo di albicocche, crema pasticciera e pastiera napoletana; il pericolo del verde del pistacchio e di vari frutti tropicali difficilmente reperibili.
Poi ci misi del mio. Se una voglia di cibo insoddisfatta potrebbe generare conseguenze «Perché mai, invece, una qualunque altra voglia insoddisfatta diversa dal cibo non dovrebbe creare problemi?» E Paolo iniziò a correre per ben altre problematiche meno tradizionali.
Se mi veniva voglia di trovarmi in alto e non la realizzavo ero sicura che Maria avrebbe sofferto di vertigini. Paolo fu costretto a trovare una raccomandazione per farci aprire il campanile della cattedrale alle quattro di notte.
Se sorgeva il desiderio di andare sulla ruota panoramica e non ci fossi andata Maria avrebbe odiato i luna-park e avrebbe avuto un’infanzia orribile. Paolo fu costretto a fare due viaggi all’alba a Roma, dove c’era la ruota più a portata di mano, e a implorare/ricompensare lautamente il proprietario per farmi fare un giro.
Ebbi addirittura un improvviso inaspettato e sconvolgente desiderio di partecipare a una battuta al cinghiale. Immaginai le conseguenze pelose sulla pelle di Maria e implorai Paolo di agire. Dopo aver tentato inutilmente di farmi ragionare, riuscì a contattare un’associazione di cacciatori che non ne vollero proprio sapere di organizzare una battuta per una donna incinta grossa. Impietositi dalla triste sorte di mio marito, però, ci fornirono un cd con i filmati delle loro ultime cacce. Dopo le prime immagini di cinghiali colpiti convenni, con grande sollievo di Paolo, che il pericolo poteva essere stato scongiurato.
Paolo tentò ogni volta di liberarmi da quell’ansia irragionevole che mi possedeva. Poi, rassegnato, compiva azioni eroiche, per ridarmi tranquillità.
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Ripensavo a tutto questo nella stanza pastello di Maria. Lei nel lettino dopo il bagnetto. Mentre la lavavo avevo ricontrollato ogni centimetro quadrato della sua pelle liscia e morbida di un rosa nuovo, profumato e uniforme. «Paolo ha davvero lavorato bene!» meditavo sorridendo «Superstizioni lo so. Ma se per caso c’era qualcosa di vero?» Quante volte Paolo aveva portato ogni prova possibile per tranquillizzarmi. Inutilmente.
Solo un giorno aveva evitato un’uscita notturna. Ma era un caso limite e c’ero arrivata da sola. Avevo letto di un film che si occupava di esperimenti extra sensoriali. Alle due della notte la voglia incontenibile di vederlo. Ma non ero riuscita a trovare conseguenze negative per Maria nel caso non vedessi quegli effetti speciali per gente credulona, stupidaggini quali telecinesi e telepatia o lettura del pensiero. Avevo quindi deciso autonomamente di tenermi la voglia. Mi sembrò però molto carino far pensare a Paolo che mi avesse convinto lui. Lo meritava.
Sorrisi ancora pensando a quanto era soddisfatto quella sera. Chiusi gli occhi rilassandomi e mi invase la serenità. Una felicità che mi dava la sensazione di essere leggera e galleggiare. Nella testa si fece avanti un pensiero strano che non riuscivo bene a mettere a fuoco. Una specie di litania ritmica. Sembrava «ba ba ba» o «da da da» ripetuto sempre con toni diversi. Riaprii gli occhi di scatto, con l’impressione che i miei piedi non toccassero più terra. Effettivamente galleggiavo a mezz’aria appena a lato del lettino di Maria che, immobile, mi fissava con i suoi grandi occhi neri aperti.
Mentre continuavo lentamente a levitare verso l’alto riuscii a riprendermi dalla sorpresa, a rimandare i pensieri di Maria nel mio cervello in sottofondo e a pensare con rammarico:
«Accidenti! Lo dovevo vedere quello stupido film!»