I VECCHI
Una domenica approfittando di una bella giornata di sole chiamai mio figlio Luca e gli dissi che lo avrei portato al parco.
Vedere il viso illuminato dalla gioia del piccolo fu un momento di gratificazione per me. Avevo visto giusto, sentiva la mia scarsa presenza. Certo, portarlo al parco non era proprio il massimo del divertimento. Il posto dove andavamo era chiamato pomposamente parco pubblico, ma in sostanza era poco più che un campetto con un po’ d’erba e pochi alberi semi rinsecchiti dallo smog, qualche panchina qua e là messe lungo i due vialetti che lo attraversavano. Purtroppo la nostra cittadina non offriva di meglio, era l’unico punto d’incontro per i bambini e qualche anziano che andava per leggere il giornale o chiacchierare con qualche amico.
Speravo ardentemente di trovare sul posto qualche amichetto di Luca, così poteva giocare con suoi coetanei. La complicità fra bambini non può essere sostituita, in nessun modo, da un genitore; per quanti sforzi questi possa fare. Arrivammo presto, non c’era molta gente, ne approfittammo per tirare qualche calcio al pallone che gli avevo fatto portare, ben presto però mi stancai e dovetti sedermi su una panchina. Per fortuna erano arrivati altri ragazzi e Luca si mise a giocare con loro. Ero seduto per riposarmi, leggevo il giornale, quando venne a sedersi vicino a me un signore anziano. Si sedette con evidente fatica. Una volta seduto, però, rimase immobile, non faceva niente, fissava solo il vuoto davanti a se, sembrava assente, forse immerso in chissà quali pensieri. Lo osservai per un po’, credevo gli avesse fatto piacere scambiare qualche chiacchiera, ma non volse mai il capo verso di me. Mi resi conto che era inopportuno obbligarlo, distolsi lo sguardo e mi misi ad ammirare le prodezze calcistiche di mio figlio.
- Mi scusi, ha per caso finito di leggere il giornale, posso dargli un’occhiata?
La voce era sottile, ma ben impostata, mi volsi ed era il signore seduto al mio fianco che mi guardava con uno sguardo malinconico, aveva gli occhi umidi, pieni di una sofferenza interiore. Non mi feci pregare per offrire il giornale:
- Prego faccia pure, - risposi porgendo il foglio – l’ho portato per compagnia, mio figlio sta giocando con dei nuovi amici e mi diverto di più a guardare lui.
- La ringrazio – fece lui – è molto gentile e, se posso esprimere una mia opinione, fa bene a passare del tempo con suo figlio, sono la benedizione di noi genitori, se lo goda adesso che sono piccoli, le daranno gioie e conforto. Dopo, quando saranno cresciuti, mi creda, non sarà più lo stesso e potrebbe rimpiangere di non averlo fatto.
Detto questo prese il giornale e si mise a leggere, lasciandomi di nuovo solo, senza avere la possibilità di rispondere. Stupito da quelle parole mi rimisi a guardare le evoluzioni dei ragazzi, ma le parole del vecchio mi tornavano in mente, “certo” - mi dicevo – “ è normale che i bambini sono belli adesso, man mano che crescono, tutto cambia, sia noi genitori, che loro” perché mi aveva detto quelle parole, rientravano nell’ordine di idee, le ritenevo una cosa naturale.
I rapporti fra padri e figli si adeguano con la crescita. Dipende da come si crescono i propri figli. Il mio Luca stava venendo su in modo perfetto, amava me e la madre, era corretto con la sorella e amava la famiglia, non dovevo aspettarmi nulla di complicato da parte sua.
La giornata finì senza altri inconvenienti. La domenica successiva non potemmo uscire causa pioggia, ma il giorno festivo successivo, invece, tornammo ancora io e Luca al parco. Come da copione, dopo le prime sgambate con me, lui andò a giocare con gli amici, mentre io andai a sedermi alla panchina e questa volta vi trovai già seduto il vecchio, se ne stava lì come l’altra volta, immobile, con lo sguardo fisso verso il vuoto, silenzioso. Aveva un atteggiamento disfatto, le braccia molli, distese sui fianchi come se fosse addormentato, solo gli occhi umidi erano aperti ma sempre fissi nel vuoto.
- Buongiorno signore – dissi appena seduto - si ricorda di me, l’altra domenica siamo stati seduti qui allo stesso posto e lei ha voluto il giornale, l’ho portato sa, se vuole leggere
Come scosso da un sonno profondo si voltò verso di me e scorsi un guizzo di vita in quello sguardo morto, come si fosse accesa una luce nel buio dei suoi pensieri
- Mi scusi ero soprappensiero, - sorrise apertamente- certo che mi ricordo, lei è stato molto gentile allora e lo è anche adesso, la ringrazio molto, si mi fa piacere leggere il giornale, però, scusi se la importuno, mi farebbe più piacere poter chiacchierare un po’ con lei. Permette che mi presenti, mi chiamo Paolo Benallevi, come facilmente intuibile, sono in pensione e vengo qua quasi tutti i giorni,quando posso. Sono rimasto solo, i miei figli sono impegnati e non hanno tempo per me.
- Io sono Carlo, - risposi in fretta, non volevo che attaccasse bottone, non mi andava di star li ad ascoltare le lamentele di un vecchio signore – vengo anche io quando posso per far prendere un po’ d’aria al piccolo, dovrebbe saperlo gli impegni lavorativi ci tengono troppo spesso lontano dai nostri cari.
Sembrò che il vecchio avesse intuito la mia intenzione di abbreviare il discorso, si limitò a dire qualche parola di convenienza, poi, come l’altra volta, si volse per leggere il giornale troncando la discussione. Doveva esserci rimasto male, aveva detto che voleva chiacchierare poi, dopo le mie parole, si era ritirato. Mi resi conto che la colpa era mia e del pessimo comportamento che avevo adottato.
Non tornai più nel parco, l’inverno era alle porte e le giornate non erano più adatte per uscire all’aperto. Un giorno leggendo il giornale incappai in un necrologio che diceva che il signor Paolo Benallevi non era più con noi, lo avevano trovato morto sulla panchina al parco. Mi ricordai di lui, di quello strano vecchietto. Ricordai le poche parole che avevamo scambiato e solo ora colsi il significato, c’era tutta l’amarezza, lo sconforto di una persona che viveva in solitudine ormai ai margini della vita, non viveva il presente, era perso solo con i suoi ricordi.
La vecchiaia ti allontana dal centro del fiume della vita, dove l’acqua scorre più forte, e ti spinge a lato, verso le anse dove l’acqua si ferma e ristagna.
Volevo ricordare quella persona e così mi misi a scrivere un pezzo sulla condizione di quelli come lui.
Ciao Paolo, - mi rivolsi mentalmente a lui, - scusa della mia insensibilità, per non aver capito subito il tuo bisogno d’amore, la tua dignità nel non chiedere nulla se non un po’ di attenzione.
Come giornali usati
Abbandonati sulla panchina
Restano inerti i vecchi.
Aspettano uno sguardo
Un attimo d’amore fra i capelli
Per riscaldarsi
Al sole di un sorriso
Leggero un vento
Sotto gli occhi indifferenti
Di frettolose ombre
Strappa via le pagine
Da quelle mani immobili
Gelide foglie morte
Nel silenzio dell’abbandono.