Buia è la notte, e ancora più oscuro è il destino che mi ha colta in una fredda serata d’inverno, quando, come al solito, ero uscita per quella che doveva essere una passeggiata solitaria e riflessiva. Negli ultimi tempi, queste camminate erano diventate un rito, una necessità per staccare dalla morsa opprimente della quotidianità. Il lavoro, una volta fonte di orgoglio e soddisfazione, ora non era che un susseguirsi di compiti meccanici, privo di ogni stimolo. I miei colleghi, pur sembrando solidali, si sforzavano di etichettarmi come uno spirito libero, un’etichetta che rimarcava la loro condizione di sottoposti. La loro invidia si mescolava a una sottile paura di ciò che rappresentavo: la possibilità di una vita diversa, di una libertà che loro stessi non osavano neanche sognare. Ogni volta che condividevo una mia idea o un progetto, avvertivo il loro sguardo di giudizio, una specie di disagio che si rifletteva nelle loro reazioni, mentre i miei tentativi di connettermi venivano interpretati come una minaccia al loro status quo La vita coniugale, che avevo immaginato piena di amore e complicità, si era trasformata in una serie di gesti automatici, senza calore né passione. Ogni giorno, rientrando a casa, mi sentivo sempre più un’estranea nella vita di mio marito, il quale, nel suo mondo di certezze e abitudini, sembrava non accorgersi della mia crescente insoddisfazione. La mia decisione di coltivare i miei interessi e di intraprendere un percorso lavorativo autonomo, in particolare, lo aveva colpito come un tradimento. La sua ombra, una volta confortante, era diventata un peso schiacciante. Mi venne in mente una serata di qualche anno fa, quando mio marito ed io ridevamo davanti a un bicchiere di vino, i nostri occhi brillanti di sogni e promesse. Ricordo il calore della sua mano sulla mia, la sicurezza che provavo nel nostro amore. "Non ci sarà mai nulla di più bello," avevo pensato, ignara di quanto rapidamente il tempo avrebbe sfaldato quelle certezze. I miei genitori, fedeli ai valori tradizionali, consideravano la mia voglia di esplorare e conoscere nuove persone come un allontanamento inaccettabile dagli stereotipi familiari. La loro delusione si leggeva nei loro volti ogni volta che tentavo di spiegare le mie scelte. "Perché non puoi semplicemente essere contenta con ciò che hai?", mi ripetevano, come se fossi stata io a creare questa frattura. La loro visione di felicità era così lontana dalla mia, eppure il loro giudizio mi gravava come un macigno. . Mi sentivo come se fossi l’unica persona al mondo, persa nei miei pensieri, riflettendo su ciò che la mia vita era diventata. Ogni passo mi portava più lontano dalla donna che ero stata e più vicino a un senso di vuoto che non riuscivo a ignorare. Poi, all’improvviso, tutto cambiò. Una fitta lancinante mi attraversò la schiena, facendomi sussultare. Ne seguì un’altra, e poi un’altra ancora. Non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Le gambe cedettero, e caddi a terra, il volto contro il freddo marciapiede. Sentii il calore del mio sangue che mi avvolgeva, e in quell’ultimo istante, capii che la mia vita si stava spegnendo. Non c’era paura, solo una strana sensazione di accettazione mentre il buio mi avvolgeva completamente. Ora sono qui, dentro una bara, ma in qualche modo ancora consapevole. Posso vedere tutti i presenti al mio funerale, il loro dolore, la loro incredulità. Li guardo mentre si aggirano tra i fiori e i nastri funebri, con i volti segnati dalla tristezza. Tuttavia, c’è qualcosa che mi inquieta, in quelle facce, in quelle espressioni c’è qualcosa che non torna... qualcosa che non riesco a identificare chiaramente e che mi lascia attonita. Poi, ad un tratto, tutto mi è chiaro: Il dolore sui loro volti non è sincero. È una maschera, un velo sottile che copre qualcosa di molto più oscuro. Quella tristezza che mostrano è una recita, un atto dovuto, ma privo di autenticità. C'è una distanza emotiva, come se, nel profondo, ognuno di loro stesse nascondendo un pensiero che non osa esprimere. Mi rendo finalmente conto che la mia voglia di cambiare, di conoscere altre persone, di fuggire alla noia della mia vita con nuove esperienze, ha creato il vuoto intorno a me. Tutti, in qualche modo, pensano che ciò che mi è accaduto sia giusto, meritato. Nei loro cuori, non c'è solo dolore, ma anche una sorta di fredda accettazione, quasi come se la mia morte fosse stata una naturale conseguenza delle mie azioni, delle mie scelte. È una consapevolezza devastante, che mi penetra come una lama affilata. Ognuno di loro, a modo suo, mi giudica colpevole. Questa rivelazione mi sconvolge. Non c'è più solo il mistero di chi mi abbia ucciso, ma anche la consapevolezza che forse, in qualche modo, tutti loro mi hanno tradita. La loro ipocrisia è un colpo crudele, più doloroso della lama che mi ha tolto la vita. Non solo sono stata uccisa, ma sono anche stata condannata, non da un singolo individuo, ma da tutti coloro che mi circondano. E ora, chiusa in questa prigione di legno, mi chiedo: chi è il vero colpevole? Il mio assassino è una persona sola o è l’incarnazione di questo giudizio collettivo, questa convinzione che io meritassi la mia sorte? La mia mente, ormai separata dal corpo, continua a cercare risposte, ma forse non le troverò mai. Forse sono destinata a rimanere in questo limbo, intrappolata tra la vita e la morte, con l’amara consapevolezza di essere stata tradita da tutti coloro che avrei dovuto poter amare e fidarmi. Sono morta, sì, ma sono morta ben prima che il sangue scorresse sul marciapiede. Sono morta nel momento in cui ho capito che per loro, in fondo, non ero abbastanza. E ora, mentre giaccio qui, guardando quei volti ipocriti, mi rendo conto che il vero tradimento non è stato l'atto finale, ma tutto ciò che l'ha preceduto e mentre la terra comincia a coprire la bara, avverto un'ultima, fredda consapevolezza: non troverò mai pace. Non c'è redenzione né giustizia in questa morte. Solo un eterno, doloroso silenzio, che mi accompagnerà finché il ricordo di me non sarà completamente svanito. E forse, proprio in quel momento, quando anche l'ultimo pensiero su di me sarà dissolto, troverò finalmente il riposo.