Non so se fu un caso o cosa, so che capitò all'improvviso. Avevo lasciato un biglietto vicino alla cassetta delle lettere “Citofonare due volte a lungo”. Non sono sordo, solo che il mio udito è calato e gli apparecchi acustici che mi hanno proposto costano tantissimo e poi, a dire la verità non li metterei per non sentirmi più vecchio del dovuto. La mia postina asseconda questa mia richiesta, si chiama Alice. Sono stato fortunato perché tra i portalettere che girano nel mio comune, mi è capitata in sorte proprio lei, mentre gli altri due consegnano la corrispondenza alle frazioni e alle cascine disperse nel verde della campagna, dove per arrivarci ci vai solo per conoscenza diretta attraverso stradine tortuose e non asfaltate. Alice guida una Panda bianca ibrida con la scritta Poste Italiane. L'interno è un caos: mucchi di lettere e giornali impilati sui sedili e legati con robusto spago, per non parlare del bagagliaio stipato di scacchi di iuta e scatole.
La prima volta che la vidi, mi colpì quel suo un modo di fare che cancellava la monotonia delle mie giornate e della lenta vita del paese, cadenzata dal suono delle campane e dalle abitudini di tutti i giorni. Una delle poche cose vivaci sono gli alberi nel mio giardino le cui foglie danzano al ritmo del vento tenendomi compagnia, insieme al rumore della penna sui fogli quando scrivo, perché detesto usare il computer. Non aveva, Alice, un carattere gioviale, dimostrava invece determinazione e sicurezza che non trascendevano però in una confidenza ancora fuori luogo. Io e la mia ex avevamo scelto questa abitazione per le sue caratteristiche, perché, pur essendo nel centro del paese, dietro la chiesa e a due passi dalla farmacia, che per un ipocondriaco come il sottoscritto, rappresenta un valore aggiunto, ha un giardino abbastanza grande che protegge la mia quiete e il mio ritiro. L'orario nel quale Alice passa è più o meno sempre quello e ho preso l'abitudine di aspettarla nascosto dietro le tende del salone, per non perdermi neanche un minuto della sua visita.
Ogni volta era sempre un "no grazie" che opponeva come rifiuto per entrare in casa e bere un caffè insieme a me. Sia chiaro, il mio invito non aveva nessun altro scopo che ringraziarla per la gentilezza, non c'erano doppi fini, se non quello del piacere, sia pure rapido, della sua compagnia. "No grazie, sono di fretta". "Eppure, pensavo, ci deve essere un sistema, un modo per convincerla".
Fu lei inaspettatamente a togliermi d'impaccio, invitandosi con mia grande sorpresa e stupore. "Non mi offre un caffè?" Mi chiese senza alcun preavviso o atteggiamento che potesse farmi prevedere questa sua spontanea domanda. Ero un tantino euforico e incredulo mentre la facevo accomodare. Quando entrò notai i suoi occhi che brillavano di curiosità, come se cercasse di scoprire un fremito di affetto in un luogo così distante dal suo per tanti motivi.
"È una bella casa," disse, mentre il suo sguardo indagava le pareti e i mobili decorati da fotografie di un passato lontano. Osservandola da vicino notai il giubbotto catarifrangente che copriva un maglioncino nero con le maniche alzate fino ai gomiti e un jeans piuttosto attillato. Ai piedi le bruttissime scarpe antinfortunistiche che le erano state date in dotazione. Riconobbi il profumo di un deodorante senza pretese che a malapena nascondeva l'odore di sudore. Feci finta di niente, non volendo metterla a disagio; accesi la Nespresso e attesi lo spegnimento del led della temperatura, infilai una capsula di caffè "limited edition" e le prime gocce di caffè, seguite da un delicato aroma scesero, scure, nella tazzina. "Vieni in cucina, accomodati, intanto preparo il mio". La conversazione che seguì, mi fece sentire meno solo e credo che anche per lei fu la stessa cosa. Mi parlò, con una pronuncia che tradiva le proprie origini, dei suoi genitori rimasti al Sud in un paese del quale ignoravo l'esistenza, Altomonte, in Calabria, bellissimo nei suoi vicoli medievali e dove tutti si conoscono e ciascuno si prende cura dell'altro, come un'unica grande famiglia; dei fratelli partiti come lei per cercare nuove opportunità, della sua vita in questa provincia piena di freddo e di nebbia. Non era assunta stabilmente ma con contratti di somministrazione che venivano rinnovati ogni tre mesi. Abitava in affitto in un monolocale arredato, e da come lo descriveva capii che le piaceva molto, ed era palese, nelle sue parole, l'orgoglio di riuscire a mantenersi da sola. "Devo andare, perché mi monitorano, la ringrazio per il caffè". "Puoi anche darmi del tu, almeno mi sento meno vecchio!". Sorrise e un tenue rossore le colorò le guance. Non so se la decisione di riprendere il giro così rapidamente fosse dovuta davvero a esigenze professionali e non piuttosto da un desiderio di allontanarsi. Quello che per certo so, è che volevo scoprire di più sulla sua vita al di fuori di quel lavoro che sembrava assorbirla completamente. Ma le domande che mi venivano in mente si strozzavano nella gola. Era come se, in quella dimensione fatta di lettere e pacchi, Alice tenesse chiuse anche le proprie emozioni che non svelava a nessuno e alle quali nessuno poteva accedere.
Grazie per avermi ascoltato.