“Tutta in voi la luce mia”
Si è scomodata persino Anna Bolena, oggi.
O meglio, Donizetti, che Le fa dire queste parole.
E allora che luce sia!
Il Boss, così lo chiamerò, durante i miei anni di lavoro ha esercitato su di me delle pressanti pressioni sessuali.
Non è una cosa che avevo rimosso ma credo semplicemente che non mi è parsa, in questi ultimi anni, particolarmente importante. Ora però che mi sono messa maschera e boccaglio e sto facendo un lavoro di profondità, solcando i fondali del mio passato, anche questa cosa è riemersa.
È successo in modo del tutto inaspettato e, come ogni cosa inaspettata, mi è arrivata addosso come uno tsunami. In un solo istante ho sentito tutta la pressione di un segreto tenuto nascosto che adesso fa saltare il tappo e vuole a tutti i costi essere rivelato. A chi? Principalmente a me stessa. Per la legge del “se lo dico poi farà meno paura”.
Io e il mio Amore siamo in macchina e come al solito lui mi appoggia la mano sulla coscia.
Come al solito, appunto.
Ma sabato scorso questo consueto gesto ha attivato degli alert.
E immediatamente mi sono rivista in uno dei tanti viaggi di lavoro che facevo con il Boss e lui che appoggiava la mano sulla coscia, un gesto che io sentivo sporco, perché lo era.
Ricordo la sensazione di paralisi che provavo.
Non riuscivo a dirgli NO.
Ero terrorizzata. Il panico prendeva immediatamente il controllo del mio corpo.
La paura si trasformava presto in vergogna, senso di colpa, sensazione di sporcizia nel corpo e nell’anima.
Poi tornavo a casa, mi facevo una doccia e lavavo via il disagio.
E ogni giorno, o quasi, era così.
Mi dicevo che non essendoci la mia volontà non poteva essere un tradimento verso quello che allora era mio marito.
Ecco, la mia più grande preoccupazione era quella.
A pensarci oggi, mi scappa un sorriso.
Avrei dovuto pensare prima di tutto alla mia dignità di donna, di madre, di lavoratrice.
Avrei dovuto dirgli quanto schifo mi facesse.
Avrei dovuto parlarne con qualcuno.
Non ho fatto nulla di tutto questo e oggi mi vorrei dare un po’ di giustizia, anche se tarda.
E poi vorrei perdonarmi perché in fondo mi sono sempre pensata una ragazza “senza esperienze”. Nel mio incerto vivere non mi sono mai presa la briga di riempire un bagaglio di personale vissuto da elaborare, trasformare, rivivere, cancellare e trasmettere. Ho vissuto la mia vita guardandomi da fuori, con l’occhio del mio stesso giudizio sempre puntato su di me. Esclusivamente su di me, come un faro. A farmi notare anche le minuscole cose sbagliate che facevo e oscurare invece le azioni altrui, anche quando erano macroscopiche, attraverso una continua ed incessante opera di distoglimento dello sguardo, come se l’unica persona deprecabile al mondo potessi essere sempre e solo io.
Anche oggi che sto cercando faticosamente di invertire la rotta della mia esistenza, soprattutto nell’intimità con il mio Amore, mi sembra, a volte di sollevarmi dal letto, inforcare gli occhiali da maestrina e osservarmi dall’alto, vedermi li sdraiata, a gambe aperte e mezze sollevate a prendermi goffamente il mio piacere.
Mi sento ridicola. Devo scacciare velocemente quel pensiero, che so essere figlio anche di quei giorni di paura e di codardia ed iniziare a vivere in prima persona.
Non perdonerò, invece, mai il Boss.