Una freccia, due cuori
(Citazioni lapalissiane, Thomas J. Plight)
La pallottola scelse il tragitto più romantico per devastare i corpi dei due amanti: si infilò gentilmente nella schiena di lui e congiunse entrambi i cuori in una traiettoria delicatamente assassina, portandoli a scioperare in sincrono, unitamente a una serie di altri organi vitali. Il grumo di piombo, uscendo dalle spalle di lei, terminò la sua folle corsa nel cordolo della piscina, lodando inopportunamente le proprie capacità balistiche.
I due quasi non si accorsero che la vita fuggiva veloce dai propri corpi, come da uno spumante d’annata appena stappato. Morirono con un flebile lamento, una pallida imitazione del canto d’estasi cui si stavano approssimando.
La luna preferì ripararsi dietro uno schermo di fitte nubi, paurosa anche della sua ombra, lasciando che il bianco di Anna Russo e l’ambrato di Massuf Al Wahid si unissero in una singolare tavolozza con il rosso del sangue.
Una differenza poco percettibile di notte, si disse la pistola di Mario Russo, nascondendosi vile nelle mani dell’assassino. L’uomo contemplò per un attimo il luogo del delitto e si voltò senza dire una parola, avviandosi verso la villa alle sue spalle. Salì le scale fino alla camera da letto e ripose con cura l’arma nel comodino, cercando di esorcizzare gli incubi che l’avrebbero di certo assalito durante quella lunga notte.
Del resto la giornata successiva si preannunciava ancora più lunga.
La spiaggia di Cala Campituro si stendeva in una pianura dall’aria improvvisata, stretta com’era tra due promontori a picco nel verde dell’Adriatico. Un sorriso di sabbia dalle dimensioni ragguardevoli che guardava, dal basso verso l’alto, una resinosa boscaglia di pini e lecci. Quasi a livello della spiaggia una pianura improbabile forniva inclinato riparo a una serie di villette a schiera, probabilmente abusive, e a un villaggio per turisti dai modi annoiati.
Il declivio sinistro, che guardava speranzoso a Sud, era punteggiato nella sua parte meno aspra, da coltivazioni di ulivi inframmezzate da agavi in fiore.
Khaled si soffermò a respirarne l’aria ad occhi chiusi, rapito da uno filo di malandrino Scirocco.
Il fratello lo riportò alla realtà:
“Poeta! Che fai, c’è da spingere il carretto.”
“Arrivo Massuf, arrivo” disse, reimmettendosi nel flusso di una grama normalità.
Normalità. Per entrambi era un concetto piuttosto distante da quello della massa vociante e festaiola che assiepava quella spiaggia. Nati disperati, si avviavano verso un futuro di rassicurante povertà: un bel passo in avanti rispetto alle condizioni che avevano lasciato in Marocco.
La loro storia avrebbe potuto rappresentare il clichè degli emigranti che costantemente provavano a venire in Europa. Per loro non c’erano stati voli di prima classe, né carrette del mare brulicanti di bimbi, anziani e donne incinte.
Tutto molto più piatto e normale.
Un peschereccio di Mazara del Vallo provvide alla traversata, imbarcandoli come marinai assunti in nero. Un viaggio operoso che li aveva lasciati vicino Agrigento, senza mete turistiche preferite e senza soldi, liberi di godere del Favonio e di chiedersi cosa sarebbe stato della propria vita da quel momento in avanti.
A quel punto era cominciato lo zigzagare lungo il tacco d’Italia, fino ad approdare sullo sperone assolato in pieno Luglio. La stanchezza di un viaggio fatto di espedienti aveva fatto il resto. Era stato facile, per i due fratelli, trovare un fornitore di bigiotteria che aveva prestato loro anche un carretto sgangherato.
Il loro universo nasceva e moriva lì, a Cala Campituro, con le stelle a tessere la poesia di un tetto notturno. Una poesia che faticavano assai a comprendere.
Anna chiedeva da tempo al marito una piscina: le avrebbe evitato, a suo dire, di scendere nella spiaggia affollata, risparmiandole la fatica dei trenta metri che separavano la soffice sabbia dal giardino di casa, la ressa dei turisti della domenica e l’assillo dei vucumprà.
“Penso sia venuto il momento di fare una piscina” le disse Mario, ammirando le forme perfette e curate di una moglie più giovane di lui di quasi vent’anni.
“Davvero?”
“Si, ho trovato due muratori marocchini che me la faranno.”
“Possiamo permettercelo?” chiese la donna, apparentemente preoccupata dai moniti economici che il marito le rivolgeva durante i rituali saccheggi della carta di credito. Nel frattempo spalmava una maschera tonificante pre-spiaggia sul seno.
“Sono di poche pretese e poi li assumo in nero, non ti preoccupare”
“Fa’ tu, come si chiamano? Li conosciamo?”
“Khaled e Massuf, sono due gemelli marocchini.”
“Non credo di conoscerli” rispose la moglie, evasiva. In realtà li ricordava benissimo i due aitanti vucumprà. Diverse volte era stata assalita dalla voglia di acquistarne la plasticosa mercanzia, al solo scopo di averli vicini, ma ogni volta la sua spocchia le aveva imposto il silenzio.
Ai due la proposta di quell’uomo tarchiato era suonata come una sorta di regalo dal cielo. Avrebbero avuto un tetto sulla testa per la notte, oltre a uno stipendio che suonava dorato alle loro orecchie, abituate a contrattare sulla frazione di euro.
Dalla carrellata di umanità con cui avevano avuto a che fare avevano compreso che non esiste persona più micragnosa del turista pieno di soldi. Li sentivano vantarsi con i vicini di ombrellone, mentre si allontanavano alla volta del prossimo ribasso della loro mercanzia già misera. Tra coloro che chiedevano lo sconto sullo sconto, ricordavano proprio l’uomo che stava offrendo loro lavoro come il più avaro e irrispettoso.
Mario li guardava, inconsapevole dei loro pensieri, compatendo (per contrasto) lo stato miserevole della propria maturità, la pancia nascosta da una camicia che, svolazzando, lasciava il dubbio sull’entità esatta del contenuto. Non certo sulla sua presenza comunque imponente.
I due fratelli accettarono subito: fu un contratto siglato con una stretta di mano e uno sguardo fiero, tra uomini mediterranei divisi da un mare che secoli prima accomunava come un lago.
Mario si allontanò soddisfatto di poter gestire con pochi soldi una richiesta della bella moglie.