Dalle mie parti un anello come quello in quel punto della mano dove stava quello della cameriera carina e forse neanche ventenne significa esclusivamente fidanzamento serio, perciò mi demoralizzai e cercai di mettere da parte tutti i miei pensieri su quello che sarebbe potuto essere il nostro futuro. Del resto potevo concentrarmi sul mio pasticcio, che era ottimo.
Eppure più la guardavo, più sembrava giovane, e facevo sempre più fatica a capacitarmi che una ragazza così giovane fosse ufficialmente fidanzata in maniera ‘importante con qualcuno’. La guardavo muoversi dietro il banco, poi uscire in sala e mettere a posto i tavolini, raccogliere qualche carta, andare dai ragazzi poveri a sentire se andava tutto bene, guardarmi per sincerarsi che stavo mangiando e che gradivo, e non riuscivo a darle un’età che fosse attendibile con ciò che portava al dito, e la cosa mi sconcertava in una maniera che non avevo mai provato, e mi sentivo sprofondare in un abisso di gorgonzola e grana, che è per consistenza qualcosa simile alle sabbie mobili. Più la guardavo e più gli anni le si scrollavano di dosso. Presto sarebbe diventata una bambina se avessi continuato a guardarla, e sarebbero venuti ad arrestarmi. Tuttavia la guardavo solo quando lei non guardava verso di me e mi sorrideva, allora facevo finta di non guardarla e di mangiare il mio pasticcio.
Avevo quasi finito di mangiare i miei agnolotti agli spinaci con gorgonzola e noci che il posto iniziava a non sembrarmi più lo stesso di prima, anche se non saprei dire che differenze ci fossero; l’orologio da qualunque parte lo guardassi continuava a non vedersi l’ora. Avevo quindi quasi finito il mio piatto prelibato che, facendo per bere, mi ero accorto che avevo finito il vino, per altro senza essermi reso neppure conto di averne mai bevuto, e il tempo di alzare lo sguardo per reclamarne ancora che già la ragazza sempre più giovane me ne stava portando dell’altro.
Va tutto bene? Mi aveva chiesto versandomi il vino e mostrandomi l’ampio scollo della maglia, la spalla e l’estremità nera della coppa sinistra del reggiseno.
Sì, grazie, tutto ottimo, era quello che ero riuscito a dire guardando l’anello e continuando a sconcertarmi per quel fatto del fidanzamento, che per me era così scontato ormai, che non mi andava proprio di chiederglielo, se quello era un anello di fidanzamento, che poi in certe storie non mi andava più di impegolarmi, che poi non è una cosa che vai a chiedere alla prima che vedi, tanto per curiosità, o magari anche sì. Una volta mi ci impegolavo e provavo gusto nel farlo, nell’essere la causa di un turbamento e di un dubbio, nell’essere scelto al di sopra di un altro, nell’essere il protagonista indiretto di un cambiamento che allora mi pareva dovesse essere inarrestabile, ma poi mi ero accorto che erano solo rogne e che alla fine non andava mai come mi aspettavo, e allora avevo preferito fare che quando capivo che una stava con un altro, anche se mi piaceva veramente, lasciavo direttamente stare e via. C’erano e ci sarebbero state comunque delle eccezioni. La cameriera carina sempre più giovane ogni minuto che passava sembrava una di quelle, col suo fare da gatta morta e la spalla scoperta. Mi sorrideva in una maniera che non le avevo visto fare con nessun altro cliente, e se è vero che non mi dedicava tante attenzioni quante ai bambini, avevo notato che guardava spesso nella mia direzione, e forse aspettava solo qualche mio gesto per lasciarsi andare un po’ di più e darmi maggiore confidenza. E proprio mentre mi apprestavo a sfiorarle quella stessa mano indiamantata, non so perché ma ero attratto dal toccarla, l’inquietudine di prima si era ripresentata, e aleggiava nell’aria come uno spettro. Il tempo di rabbrividire a questo pensiero che la sua mano era sgusciata via e lei si allontanava maliziosamente verso il bancone. Ora mi pareva, mentre la guardavo allontanarsi dal mio tavolo dove ora c’era del vino e quel che rimaneva del mio gattò di patate e zucchine, che tutto ciò che faceva lo facesse unicamente per sedurre la mia attenzione. Solo quando il suo corpo passò oltre la linea d’aria che mi separava dall’unico altro tavolo del locale, vidi che i bambini mi fissavano con cattiveria e pieni di pregiudizio nei miei confronti. In quel momento provai l’istinto di andare là e spegnere la candela che illuminava il loro misero tavolo con un unico grande soffio, ma mi resi conto quasi subito che probabilmente non ci sarei riuscito, e allora lasciai stare. La cameriera mi dava le spalle e trafficava dentro al frigorifero della Coca Cola che stava adiacente all’ingresso del bancone, proprio di fronte a me. Io fissavo il suo perizoma, che usciva dalle braghe, fingendo di fissare il vuoto. I bambini continuavano a fissarmi come se gli stessi portando via la madre. Mi agitai e mi accorsi che alcuni cani spaventati dai botti che si udivano da fuori stavano ammucchiati all’angolo del locale opposto a quello dove stavano i bambini, uno di loro era morto, e gli mancava un pezzo di carne dalla schiena. Gli altri mi fissavano mangiare il pasticcio col gorgonzola e il radicchio, ma solo quando io non mi giravo a guardarli, allora facevano finta di niente, o di sbeccottare dalla schiena del cane morto, perciò non avendoli mai visti veramente non potevo dire con certezza che mi stessero veramente fissando quando io non fissavo loro, e avevo fatto dei tentativi alzando la testa di scatto, ma sempre scoprendoli a fare finta di niente o a mangiare dal cane morto, eppure l’idea che mi fissavano non appena giravo la testa rimaneva, anche se però non potevo dirlo con certezza, e m’inquietava.
A quel punto, da una porta che si trovava dietro il bancone, aveva fatto il suo ingresso nella sala un orco, che doveva essere il cuoco. Ovviamente non si trattava di un orco vero e proprio, ma di un energumeno che lo ricordava per le fattezze e per la sciatteria che si trascinava dietro. Non era neppure un energumeno, poiché era un uomo di bassa statura, ma faceva comunque impressione come se fosse stato un energumeno. In realtà non si capiva neppure bene se era un uomo, ma d’altro canto non poteva essere altrimenti. Questa losca e sciatta figura aveva fatto il suo ingresso in sala uscendo dalla cucina. Indossava una maglietta bianca molto unta, che non arrivava a coprire la pancia, e la faccia aveva un aspetto molto rozzo, avvolto in una barba rozza e sfatta da qualche giorno di troppo, e anche i capelli, sebbene corti, erano trasandati e mal curati. Rozze erano anche le mani, e rozzo era lo sguardo che aveva, caratterizzato da un paio di occhi glaciali e inespressivi, vuoti. Anche le gambe, che erano coperte da un paio di jeans sporchi e sgualciti, lasciati cadere sui fianchi senza cintura, erano rozze pure quelle, sebbene come i jeans non avessi potuto vederli realmente, nascoste dietro al bancone.