«Vieni Maria ancora un piccolo sforzo»

«Oh! Giuseppe non ce la faccio più, credo che sia arrivato il momento di fermarsi, capisci, dobbiamo fermarci non importa dove.»

«Va bene, ho capito, ancora due passi vedo una costruzione più avanti, vedremo di ripararci là dentro.»

Giuseppe tirando le redini dell’asino sul quale c’era la sofferente Maria, aprì la porta di quella che sembrava una stalla. In effetti lo era, un unico locale pieno di paglia nelle mangiatoie e un grosso bue che riposava disteso in un angolo. Vide entrare gli intrusi ma non mosse un muscolo, rimase a sonnecchiare sdraiato nella paglia. Maria con notevole sofferenza scese dall’asino e andò a sdraiarsi anche lei sulla paglia con le spalle appoggiate a una mangiatoia piena di fieno. Il calore cominciò a farsi sentire e lei ne trasse beneficio. Giuseppe intanto liberava il povero asinello dal giogo lasciandolo vicino al bue che sollevò un occhio ma lo richiuse subito dopo. Da bravo falegname Giuseppe pensò subito di preparare una specie di culla per il prossimo nascituro. Prese le misure di due pezzi di mangiatoia e con gli arnesi che portava sempre con sé, allestì alla meglio una sorta di culla. La riempì di paglia scegliendo quella più fine, spezzettata, per evitare spuntoni che potevano esser pericolosi per il bambino. Mentre lavorava non perdeva di vista Maria che aveva cominciato a lamentarsi di nuovo per i forti dolori. Capì che il momento era vicino, non avendo altro da fare uscì fuori all’aperto in attesa di sentire il primo vagito. Maria come tutte le donne sapeva cosa fare, avrebbe portato a termine il suo compito. Passavano i minuti e l’aria diventava sempre più fredda, Giuseppe fuori la porta sentiva il freddo entrare dentro di lui come una tenaglia che tentava di strappargli pezzi di carne. In cuor suo voleva entrare e aiutare la sua sposa ma sapeva che non era permesso, doveva solo aspettare. Rimase a guardare il cielo che piano piano stava schiarendo. Stava arrivando la notte, ma stranamente il cielo diventava sempre più pulito e luminoso. Le stelle uscirono a migliaia e anche l’aria gelida sembrò calare d’intensità. Vide molto lontano una luce splendente che si muoveva nel cielo lasciando una scia d’argento. Veniva dritta verso il punto dove si trovava lui. Distratto dalla meraviglia del cielo ancora non si era accorto che si stavano avvicinando alla porta della stalla, diversi animali, quando se ne accorse per poco non fece un salto dalla sorpresa. Vicino a lui e tutto intorno c’era un assortimento di animali piccoli e grandi, erano arrivati in silenzio e se ne stavano lì tranquilli. Notò, fra gli altri, molti uccelli di diverse dimensioni. C’erano molti passerotti, una coppia di colombe, un falco solitario, due gufi dagli occhi sporgenti che giravano di continuo la testa come dei vecchi professori. A terra, e invece, vide cani, gatti, volpi, topolini, mucche e pecore, anche un lupo e un orso arrivati chissà da dove. Erano tutti insieme, prede e predatori, erano fermi insieme a Giuseppe in attesa. Volevano essere i primi a rendere omaggio al Redentore. Nel silenzio della notte improvviso si udì un vagito. Un soffio d’aria avvolse chi era fuori ad aspettare. Un vento tiepido che avrebbe portato  il suo soffio d’amore in tutto il pianeta. Giuseppe si decise ad entrare e andò subito vicino a  Maria che con aria stanca ma felice gli porse un fagottino formato con un pezzo delle sue vesti. Dopo averlo baciato Giuseppe lo mise nella improvvisata culla e gli animali cominciarono a passare davanti al bambino. Passando chinavano la testa in segno di omaggio, in Lui riconoscevano il Signore di tutti loro. Quando arrivò il turno della cicogna, lei sulle esili zampe fece una specie di inchino, ma non poté  evitare di rattristarsi per le condizioni precarie in cui si trovava quel piccolo. Per essere il Signore di tutti gli esseri viventi giaceva in un posto molto scomodo. Sapeva che la paglia può essere traditrice, alcuni fili sono davvero duri e il neonato ne poteva soffrire. Le pecore che stavano vicino a lei si accorsero anche loro delle condizioni precarie del neonato e una di loro si rivolse alla cicogna:

«Ciao cicogna, hai visto anche tu come sta il nostro Signore, ti prego, tu che hai il becco lungo e forte, strappa dei ciuffi di lana dal nostro mantello, non ti preoccupare a noi non fa male, cerchiamo di alleviare le difficoltà del bambino.»

La cicogna la guardò con occhi umidi, che bontà in quell’animale umile e paziente, lei si stava angosciando, guardando il bambino e le pecore avevano risolto il problema. A quel punto mentre strappava con molta delicatezza i ciuffi di lana, pensava di dover fare anche lei qualcosa.  Non si mosse da dove era e con dolore infinito cominciò a strapparsi tutte le piume che aveva. Soffriva in silenzio, una alla volta si strappò le piume quelle più soffici e morbide che aveva sotto le penne, quelle che nello strappo portavano via anche piccoli lembi di pelle. Continuò a farlo con le lacrime agli occhi.  Quando ne ebbe raccolto un bel mucchio, le unì alla lana così che,  fra la lana e le piume si era creato un bel giaciglio morbido che la cicogna con garbo e senza disturbare il bambino riuscì a mettere sopra la paglia. Adesso la culla era calda e con  il fondo di piume e lana  morbida. Soddisfatta e piangente per il dolore si apprestava a uscire quando il sacro bambino la guardò e il suo sguardo fu una benedizione per lei. Da quel giorno la cicogna è diventata un uccello protetto e accettato a tutte le latitudini. È  diventata  il simbolo della nascita e dell’amore per i neonati.  Quando tutti gli animali furono andati via cominciarono ad arrivare persone del villaggio, pastori dal circondario, viaggiatori che avevano seguito la scia della stella cometa e in breve davanti a quella stalla ci fu il mondo, in attesa di omaggiare la nascita del Messia. Arrivarono giorni dopo anche alcuni maghi dal lontano oriente portando doni a chi era destinato a regnare “ così in terra, come in cielo. “ 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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