Aprile. E’ tempo di risvegli in natura. E’ giunto finalmente anche il momento del battesimo della pesca per mio figlio. Domenica prossima andremo in barca e sarà la sua prima battuta di pesca. Non faremo niente di complicato, come primo impatto inutile sperare di catturare grosse prede, andremo a poca distanza dalla riva per fargli capire il senso di cosa vuol dire, la pesca amatoriale. Certamente non voglio insegnargli come può fare una nave baleniera a catturare quegli enormi mammiferi o farlo assistere alla mattanza cruenta di una tonnara. Noi andremo in barca a mettere in pratica le lezioni che gli ho dato a terra.
Ecco che, come promesso, siamo al molo in attesa di salire sulla barca, gli faccio controllare tutta l’attrezzatura e quanto può servirci, per restare in mare parecchie ore.
Lui eccitato mi segue ed è fuori di sè per la felicità. A parte la pesca che ancora non ha mai provato, capisce solo che avrà la possibilità di restare con me, da solo, per molto tempo. Questo lo rende felice, in genere non ha mai di queste occasioni, il mio lavoro mi tiene lontano da casa più tempo di quanto io desideri.
Abbiamo ripassato tutto ancora una volta, tutte le operazioni e, finalmente possiamo imbarcarci. Lui timoroso si mette, su mia indicazione, a poppa e si siede sul fondo dell’imbarcazione, non voglio che un'onda o uno sbalzo mi giochi un brutto tiro. Il motore va, prima piano per uscire dalla darsena, poi una volta fuori accelero e vedo che lui si esalta alla velocità, il ciuffo di capelli sventola come una bandiera, ma non se ne cura, sorride.
Raggiungiamo la zona che di solito frequento, quando vengo a pesca da solo. E' un buon posto, a poco più di venti metri ci sono molti scogli sommersi e questo indica molti pesci stanziali. Come impatto, per un ragazzo, è l’ideale. Dopo aver gettato il ferro per ancorarci gli faccio prendere la canna che ho destinato a lui. Una piccola, molto flessibile, aperta non raggiunge i due metri. Ora è il momento di vedere se le mie lezioni a terra sull’uso della canna sono state seguite con attenzione.
Non gli dico niente, seguo solo quello che lui fa, secondo i miei insegnamenti.
Appoggia la canna di traverso sulle gambe e prende la parte terminale dell’amo fra le dita della mano sinistra, poi mi guarda come in attesa di approvazione. Gli faccio un cenno d’assenso e lo invito a continuare. Questo è il punto dolente di tutti i pescatori novelli, infilzare il verme, o parte di esso, nell’amo. Può sembrare una banalità, ma è la cosa che non tutti sono capaci o disposti a fare. Prendere in mano un verme che si dimena, si contorce, viscido e sporco non piace a molti. Anche lui non fa eccezione. Sa che lo sto guardando, vuole dimostrare che può farcela. Sorrido. Vedo le sue piccole dita tremare nel cercare di prendere quella cosa viva e sgusciante. Si fa forza e lo prende, ma ci mette troppa forza, lo spezza e si ritrova con due spezzoni che si contorcono. Dopo una rapida occhiata verso di me, ne prende uno e inizia la manovra di infilarlo nell’amo. Dopo vari tentativi del verme non rimane che una poltiglia disfatta. Intervengo per aiutarlo. Prendo l’altra metà del verme e gli faccio vedere che va preso con leggerezza, una piccola pressione per tenerlo è sufficiente.
Poi gli faccio vedere, come deve tenerlo, solo da un lato e con la punta dell’amo iniziare a infilarlo, quando riesce a coprire tutto l’amo deve spezzare il superfluo e gli spiego anche perché.
Lui osserva e adesso vuole farlo lui, ci prova con un altro pezzo. Lo seguo da vicino e, alla fine, ce la fa, soddisfatto e trionfante. Adesso è pronto finalmente a buttare la lenza in acqua. Gli spiego come deve manovrare il mulinello, ma in questo riesce meglio. Caliamo insieme le nostre canne e ci accingiamo ad aspettare. Passano dei minuti e non succede niente. Nessun segno di vita arriva dal fondo, mi guarda perplesso, forse pensava ci fosse più azione o movimento, ma deve imparare che la pesca è soprattutto attesa e pazienza. Comincia a stufarsi di tenere in mano quella canna senza vita, quando improvvisamente la cima si muove. Salta su come punto da una vespa, vuole gridare per la sorpresa e per la sensazione che ha provato. Ha sentito chiaramente la lenza strattonata. Vede dei leggeri colpetti che fanno tremare la cima della canna. In silenzio gli faccio segno di dare un colpetto e sentire se la lenza è più pesante di prima. Lui esegue e vede la canna flettersi e rimanere curva sotto il peso di un qualcosa. Esulta e fa uno sforzo per tentare di tirar su di colpo la sua preda. Capisce che non può farlo, deve solo avvolgere con il mulinello la lenza lentamente per non dare la possibilità al pesce di scappare. Si alza in piedi tutto eccitato, gira la levetta del mulinello troppo veloce, gli faccio segno di rallentare e d essere più calmo, deve tirar su con continuità regolare, se è il caso anche di mollare un po’ e poi riprendere a tirare. Il bello della pesca sportiva consiste proprio in quest'operazione di recupero, la lotta di due forze opposte quasi sempre impari a sfavore del pesce. Sembra che abbia capito il metodo e ora agisce con più calma. La lenza da recuperare non è molta, infatti, poco dopo fa capolino nell’acqua calma e trasparente, la sagoma di un pesciolino. Il grido di vittoria mi ripaga di tutti i pomeriggi passati a spiegargli le tecniche. Sembra che abbia pescato un tonno o il più bello dei pesci del mare. In realtà si tratta solo di una donzella. Un pesce stanziale di scoglio, vive in branchi attorno alle rocce sommerse. Molto bello da vedere. Una livrea rossiccia più o meno scura mentre la parte ventrale, è fortemente colorata in senso longitudinale. Una striscia bianca intervallata da vari colori che varia da soggetto a soggetto.
Gira la canna come gli ho detto di fare e finalmente il pesciolino cade nel fondo della barca. Ora deve fare l’ultima operazione, togliere l’amo dal muso. Si applica con delicatezza cercando di non far troppo male. Per fortuna l’amo non è entrato in gola, si è infilzato nel labbro superiore, basta una piccola scossa e si libera, comincia a dimenarsi per la mancanza d’aria sul tavolato della barca. Mio figlio mi guarda con due occhini allarmati, sa cosa gli ho detto in proposito, cerca di prenderlo con le mani e quando ci riesce si affaccia al bordo e lo accompagna nell’acqua aprendo le mani. lo vede, il pesce si ferma un attimo, forse per riprendere il contatto con l’elemento liquido, poi si scuote e con un guizzo si inabissa. Lui si rialza e il suo viso esprime una gioia incontenibile. Viene verso di me e mi abbraccia. L’esperienza, che ha appena vissuto, è stata gratificante oltre ogni più rosea previsione. Lascia la canna e si sdraia al sole. Per oggi ha chiuso con la pesca.