A Bruno.
Perché sei la mia forza.
E perché mi hai insegnato a credere negli eroi.
C’era una volta,(ma esiste ancora il tempo giusto per questa storia)un luogo in cui tutto era possibile …
Dove bastava soltanto cambiare prospettiva e tutto poteva cambiare …
Prologo
Febe era seduta sul quello scalino freddo,avvolta nella sua mantella bianca e calda,a guardare il paesaggio che la circondava. Era dicembre e tutto era innevato lì, tutto. Immobile ed infreddolita si sentiva proprio come la neve. Era cresciuta in quel palazzo tutto guglie e corridoi, in cui bastava un attimo per nascondersi dalla nutrice, che la rincorreva affannata e stanca, perché dopo una mattinata passata sui libri non ne aveva di voglia per continuare a sottostare alle regole di corte.
Ed ora che le sue mani portavano i segni del tempo trascorso, non le andava ancora, per niente, di sottomettersi.
Sorrise. Un lieve rossore le colorò le guance. E ricordò. Ma non erano ricordi sbiaditi, no. Quelli erano i ricordi dell’anima,di quelli che non muoiono mai.
La terra dei ghiacciai eterni
I
“Non correre così!”,Nereo inseguiva quella furia di Febe. Era un’impresa starle dietro quando correva, sembrava una libellula impazzita. La ferita alla spalla gli doleva ancora e sentiva i punti tirargli la pelle. Ma non poteva rinunciare ad accompagnarla. Per lei era importante. Già la sua piccola Febe, dalle lunghe trecce castane,stava crescendo. Con i suoi occhi scuri e le sue lentiggini sul naso, se l’ era tatuata nel cuore. Finalmente la ragazza si fermò al limitare della foresta e il suo compagno d’avventure potè fermarsi,dolorante.
“Guarda,posso già intravederla, lì c’è la quercia delle fate ! Andiamo,voglio posare il mio desiderio tra le sue foglie! Oggi compio 16 anni e la leggenda vuole che oggi io possa chiedere ciò che desidero.” Febe non stava più nella pelle e Nereo dovette seguirla, riluttante a dire il vero,perché a lui le leggende e le fate non interessavano per nulla. Ma il padre di Febe lo aveva incaricato di proteggere la ragazza e lui,da aspirante cavaliere quale era, non poteva non ubbidire.
I passi per Febe erano un crescendo di emozioni e ,quando iniziò a posare le mani sul tronco ruvido dell’albero, si sentì percorrere dai brividi. Era bello accarezzare quell’albero dove la nonna la portava da bambina, dove le storie più belle prendevano vita.La pianta era grandissima e intorno c’era un’area circolare piena di fiori viola,rosa e gialli. Si raccontava che le ultime fate fossero morte lì e che avessero impregnato di amore e di incantesimi quel luogo, in modo che chiunque amasse sinceramente qualcosa o qualcuno, potesse esprimere una preghiera e riceverne conforto.
Febe sussurò qualcosa che Nereo non potè capire e poi cantò. E le note erano dolci, ma sapevano di forza e libertà. Quella era una canzone antica, apparteneva al loro popolo da secoli,risaliva al tempo in cui la loro terra era stata dominatadal popolo del Deserto Rosso. E raccontava di come questi uomini duri avessero piegato il popolo dei Ghiacciai eterni. Ma coloro che erano cresciuti nel bianco candore della neve, eranoforticome i loro ghiacciai e fu re Dan a guidare la rivolta.
La canzone terminò e la ragazza si voltò e piano piano si incamminò verso casa e Nereo la seguì, come sempre.
I due uscirono dalla foresta e si ritrovarono di nuovo sul manto morbido della neve,dove gli stivali lasciavano impronte profonde.
Il ragazzo sapeva che Febe non aveva voglia di parlare e immaginava cosa avesse chiesto, lui sapeva che lei volevaessere libera di essere se stessa, voleva uscire dal ruolo di principessa destinata solo al matrimonio. Lei voleva prendere parte attivamente alla vita del suo popolo.
Camminarono a lungo in silenzio con le mani in tasca, fino a quando Febe si voltò e sorrise .”Che ne dici di fermarti a palazzo? Magari potresti darmi qualche lezione di scherma?”.
“Ma non devi preparatiper la festa di stasera? Già mi immagino tua madre che ti chiama disperata per farti prendere lezioni di galateo e per farti imbellettare!”
“Io credo che ce la farò a fare tutto lo stesso,a studiare con te e a prepararmi. E lascia perdere mia madre,tanto lei si lamenterà uguale” e sorridendo ancora si inoltrò nel cortile del palazzo, dove si avviò decisa verso la sala delle armi.
Nereo era felice di potersi allenare con lei, i loro movimenti era fluidi e le lame si incrociavano e si distanziavano con un ritmo costante. Lui era bravo a modulare la sua forza con lei,che era però molto veloce e precisa.
Il tempo trascorse veloce quel giorno e la sera arrivò presto portando con sé gli ospiti, i musici ed abiti di seta frusciante.
E Febe ballò e sorrise e le fu posto sul capo il diadema regale, d’oro bianco a zaffiri, simbolo di potere e promessa che un giorno il trono sarebbe stato suo. E lei sperava di essere regina. Ma a modo suo. Perché lei sapeva che,spesso, le regole non vanno accettate senza discutere. No. Molte le devi infrangere, prima di capire se sono fatte per te.
Continuerà...