La neve non rendeva più allegre le strade grigie della città. Maledicevo la poltiglia ghiacciata che ad ogni passo si faceva strada in quelle scarpe sbagliate. La sciarpa spelacchiata pungeva il collo senza fermare il freddo che si infilava lungo la schiena.
Qualcosa mi urtò. Era un bambino. Un bambino dall'aria angelica, insopportabile, che incurante degli strattoni della madre continuava a saltellare sul marciapiede scivoloso prendendo a calci quei mucchi grigiastri accumulati di fianco al marciapiede: sembrava il gioco più bello del mondo, per lui. Per me era un problema in più, un ulteriore fastidioso ostacolo sul mio cammino.
I calci del bambino lanciavano nell'aria meteore di ghiaccio di ogni dimensione, lasciando solchi netti e precisi dove lo scarpone colpiva. Mi chiesi per quale stupido motivo i bambini si divertissero tanto a distruggere e sporcare. Cercai, non so perché, di capire cosa potesse spingere quel bambino a comportarsi in quel modo, cosa potesse provare in quel gioco infantile. C’era qualcosa in quell’atto distruttivo che lo esaltava. C’era qualcosa che lo spingeva dopo ogni calcio verso il cumulo successivo.
Forse era il desiderio di misurarsi contro qualcosa in apparenza più solido e grande di lui, e la soddisfazione di vedere la propria forza vincere su quell'avversario. Forse godeva per la pura sensazione fisica del muscolo che si tende, del piede che colpisce, del ghiaccio che cede. O per la meraviglia dello spettacolo pirotecnico sempre nuovo che ne derivava. Non poteva smettere perché dopo ogni colpo, qualche metro più in là, un nuovo avversario, un nuovo mucchio di ghiaccio, prendere la mira, tendere i muscoli, colpire, meravigliarsi. La neve non era più grigia quando tornava a volare, le scarpe erano armi infallibili mentre scolpivano e ferivano i miei avversari, il freddo era sparito dalla schiena ormai sudata per lo sforzo di abbattere, uno dopo l'altro, i mucchi di neve ancora in piedi. E la mano di mia madre, più che trattenermi, forniva nuova forza dopo ogni calcio.
Solo quando rimasi senza fiato mi accorsi dei passanti che mi guardavano perplessi, indecisi. Mi accorsi che dietro di me, per almeno venti metri, avevo distrutto il lavoro degli spazzaneve.