Fin da piccola ho costantemente creduto nell'amicizia. Forse per una mia innata predisposizione a guardare negli occhi gli altri, a scoprire i loro malesseri interiori, le loro emozioni. E mi sono sempre immedesimata nei pensieri altrui, ne ho colto le diverse sfaccettature, offrendomi come conforto nei momenti difficili e come luce nelle zone d'ombra della vita. La mia pelle di luna era il mio specchio dell’anima, pura ed innocente, sempre aperta a chi soffre velluto da accarezzare per trovare conforto alle sferzate del vento della vita. Ho sempre creduto nell'amicizia perché lega due più persone, rendendole complici della loro felicità e le aiuta ad uscir fuori con le loro personalità. permettendo loro di realizzarsi e di affrontare il mondo. E questa propensione a comprendere l'altro mi è rimasta per lungo tempo ancora, anche quando ho finito le scuole superiori. Bei tempi quando la spensieratezza non era apprezzata per immaturità ed il tempo macinava i suoi giorni avanzando con i suoi passi subdoli, silenziosi e sempre più pesanti. E poi mi sono imbarcata nel vascello universitario per approdare ad una laurea che poi avrei conservata nel cassetto e ne avrei fatto solo oggetto d'arredamento. Mi sembrava di poter conquistare il mondo, mi sentivo appagata professionalmente anche se non lavoravo perché ero riuscita a realizzare il mio percorso di formazione ed ero preparata ad affrontare il mondo. Ero felice e la mia felicità traspariva da tutti i pori La mia pelle, d'un biancore quasi irreale, mi ha accompagnata nel percorso di vita ed è stata protagonista degli approcci di quell'uomo, che poi sarebbe diventato mio marito, dolce compagno di un periodo apparentemente felice dell'amica vita. Sembrava che i miei successi fossero sempre in progressione perché lui mi sembrava un uomo interessante. C'è bisogno di gentilezza a questo modo. Ed i modi garbati, i fiori regalati, omaggiando la mia femminilità, diceva, mi rendevano una donna appagata e lo rendevano affascinante e amabile a miei occhi. Come quei modi di tutti i maschi del mondo animale, le loro strategie per affascinare la femmina, che erano state veramente efficaci. Quando lo avevo conosciuto si era aperta la possibilità in me di sperimentare un'altra modalità di vita, dove tutto ruotava attorno a noi due e tutto era ormai secondario alla nostra quotidiana complicità. Tutto era occasione per tenerci per mano, per pranzare e cenare assieme, per respirare la stessa aria e guardare al nostro futuro oltre l'orizzonte della vita. Tutto ruotava intorno al nostro sorriso. E quando ci perdevamo l'uno negli occhi dell'altra era come volare in un quadro di Chagall, tanto che una sera mi regalò un anello e mi chiese di sposarlo. Io aspettavo ormai tale proposta come una pera in attesa di essere colta, tanto che mi scoppiò il cuore di gioia e lo baciai, e ci baciammo. Che idillio! Così come me lo ero immaginato per tutta la mia vita...il principe azzurro, che ad un tratto arriva con il suo cavallo bianco e ti porta con sé, lasciando dietro la mediocrità del tuo quotidiano. Che bella storia d'amore mi era capitata. Così come nelle fiabe d'altri tempi, nelle fiabe che un tempo mi leggeva la mia mamma, prima di addormentarmi nel mio lettino. La sua proposta di matrimonio fu immediatamente accettata dal mio cuore, ormai sciolto come cavallo imbizzarrito e donato a questa divinità, bella come un dio greco. Ci sposammo con tutti i fronzoli e secondo i crismi della tradizione. Partimmo per la luna di miele. Ma già qui, questo miele si rivelò amaro perché sulla stessa nave sperimentammo la prima litigata. Ma mia mamma mi aveva avvertito ...l'amore non è bello se non è litigarello ... Lui non voleva già un figlio. Ed allora? Che senso avrebbe avuto un matrimonio così romantico come era apparso nel periodo del fidanzamento? Perché tutta questa fretta? Sembrava che quel dio greco a poco a poco si fosse trasformato in un rozzo soldato romano con la spada e la sua prepotenza. Ma questo episodio sembrò perdersi nella memoria perché al ritorno la normalità entrò nella casa, dove alloggiammo. La nostra casa. Figli però non ne arrivarono, anzi lui mi obbligò a prendere la pillola e a stare attenta per evitare complicazioni, diceva. Andammo avanti per un po' di tempo in questo modo ed i nostri litigi diventarono sempre più frequenti e violenti. Che cambiamento! Dove era andato il mio principe? La situazione si complicò quando, nonostante tutte le precauzioni, mi scordai di prendere l'accorgimento ed un giorno scoprii di essere incinta. Quale catastrofe quando lo rivelai a lui. Si deve abortire, non possiamo permettercelo. Sena neanche dirmi niente era riuscito a prendere già contatti con una donna che praticava questi obbrobri, addirittura in una casa privata, trasformata in sala operatoria per l’occasione, una donna senza scrupoli che avrebbe estratto mio figlio a pezzi dal mio grembo, nostro figlio, quell’anima innocente senza difesa, fragile corpicino che cresceva in me e che era una parte del mio battito del mio fiato delle mie cellule, che non aveva nessuna colpa ma fremeva, che immaginavo volteggiava nel suo liquido, quel microscopico atto d’amore che era un progetto per il futuro dentro di me in attesa di vedere la luce. E noi genitori che avremmo acconsentito a questo omicidio nel buio, come avremmo potuto sentirci ? No, non era una cosa che si poteva realizzare. Guaia a lasciarsi prendere dall’egoismo, E poi noi due eravamo sposati, avevamo coronato il nostro progetto d’amore o come credeva potesse essere ed ora discutevamo come eliminare il nostro frutto umano? No, ormai mi ero intestardita che quel figlio lo avrei tenuto, a costo di combattere una guerra senza armi. No, non me la sento di uccidere mio figlio e di estrarlo dal mio grembo come da una toma. Doveva nascere mio figlio, nostro figlio. E cercai di convincere mio marito. Ma la sua testardaggine era peggio di quella di un mulo. Lui aveva deciso che quel marmocchio non poteva nascere, almeno per ora come se l’amore potesse essere condizionato dalle nostre sole decisioni e non dalla volontà di Dio. Ma cosa dici, ma che cervello hai. Una famiglia è tale quando ci sono i figli. E Lui a controbattere, a essere sempre più violento nelle risposte. Alla fine mi costrinse a fare quello che diceva lui. Ed una sera dopo una lite violenta, vedendo che ancora io mi battevo per la vita di mio figlio, di nostro figlio, mi diede un pugno nella pancia che mi causò un'emorragia.