Aveva nevicato tutta la notte e anche alle sette, quando Valeria alzò la tapparella della sua camera, non accennava a smettere.
Guardò il letto e provò più forte che mai il desiderio di tornare a dormire, ma proprio non poteva e allora maledisse l’inverno, la neve e la scuola.
Guardò con odio i fiocchi che cadevano e i marciapiedi completamente ricoperti di bianco. Le macchine procedevano lentamente, con cautela, e la settantasei arrancava faticosamente verso la fermata.
Se continua così, pensò sempre più di malumore, ci ritroveremo sepolti come due anni fa.
E il paesaggio che si vedeva dalla finestra era identico a quello di due anni prima.
A quei tempi, appena si svegliava, Valeria correva alla finestra per vedere Mario che attraversava la strada e raggiungeva la fermata della settantasei.
Vedere Mario appena sveglia le dava la carica per affrontare la giornata e, se una mattina si svegliava un paio di minuti dopo, era depressa e si sentiva in colpa per non averlo visto. Ma le restava sempre il tragitto del ritorno, che lei e Mario facevano insieme sulla settantasei. Alla mattina invece poteva svegliarsi mezz’ora più tardi perché la scuola si trovava sulla strada dell’ufficio di suo padre, che le dava un passaggio in auto.
Come farò oggi ad incontrare Mario? aveva pensato la mattina in cui aveva visto tutta quella neve e per la prima volta si era resa conto dei disagi che la neve procura a chi deve spostarsi.
La macchina di suo padre aveva faticato a percorrere la salita che dai box conduceva alla strada e Valeria, nonostante fosse arrivata a scuola con un’ora di ritardo per via del traffico bloccato, era comunque stata una delle prime.
Per tutta la mattina aveva lanciato sguardi speranzosi ai finestroni dell’aula e si era disperata nel vedere che nevicava sempre di più.
“Come sono contenta,” diceva Floriana e Valeria reprimeva a stento la voglia di darle un pugno sul naso.
All’uscita da scuola erano corse alla fermata del tram che le avrebbe portate al capolinea della settantasei, dove saliva anche Mario, ma quel giorno le rotaie erano bloccate dalla neve.
“Andiamo a prendere l’ottanta!” aveva detto Valeria e si era messa a correre senza perdere tempo.
“Aspettami!” diceva Floriana, “Mi stai facendo bagnare tutta!”
L’ottanta incrociava la settantasei una fermata dopo il capolinea, tuttavia un breve tratto di strada separava le fermate dei due mezzi e quando Valeria e Floriana erano scese dall’autobus, avevano visto arrivare la settantasei.
Valeria aveva ripreso a correre perché, secondo i suoi calcoli, Maro era proprio su quell’autobus e lei non voleva rinunciare ad incontrarlo neanche per tutta la neve del mondo. Anzi, il fatto di non incontrarlo per quella stupida nevicata la faceva imbestialire.
Aveva continuato a correre anche quando era sprofondata nella neve con tutta la gamba, senza ascoltare le lamentele di Floriana.
“Aspettami! Ma cosa te ne importa di perdere un autobus?”
Volevi la neve? pensava Valeria. Adesso ti arrangi.
Non erano mai andate molto d’accordo ma quel giorno Floriana era più pesante del solito. Possibile che non capisse niente e che le piacesse la neve come può piacere ad un bambino di dieci anni? Valeria si sentiva diversa, molto più matura.
Quando erano arrivate alla fermata, una piccola folla si stava accingendo a salire sull’autobus già pieno, ma Valeria aveva visto subito Mario che stava scendendo.
“Non salire,” le aveva detto, “aspettiamo la prossima perché questa è troppo piena.”
Valeria era scoppiata a ridere perché era felicissima di averlo incontrato e perché era assurdo perdere un autobus in una giornata come quella.
Ma perdere un autobus perché troppo pieno era una scusa che loro utilizzavano ogni giorno per allungare il tragitto e trascorrere più tempo insieme.
Soltanto dopo Valeria si era ricordata di Floriana e si era guardata intorno per cercarla.
“Sarà salita sull’autobus,” aveva detto Mario e Valeria aveva pensato che in fondo era meglio così.
Avevano lasciato andare diversi autobus ed erano arrivati a casa molto tardi.
Nel pomeriggio, appena sua mamma era uscita a fare la spesa, Valeria aveva chiamato Mario ed erano stati a lungo al telefono a parlare, come facevano abitualmente.
Da un po’ di mesi, infatti, la mamma di Valeria leggeva perplessa la bolletta.
“Che strano,” diceva, “sto al telefono quanto prima e spendo il doppio! Ci dev’essere un errore!”
Non sapeva che Mario e Valeria adoravano parlare e i loro discorsi erano allegri e scombinati perché avevano solo quindici anni.
Il tragitto in autobus era l’unico momento della giornata in cui si vedevano e per questo era il più importante. Entrambi avrebbero voluto che fosse ancora più lungo per trascorrere più tempo insieme.
Un giorno si sarebbero sposati, pensava Valeria, avrebbero avuto due figli, possibilmente gemelli, possibilmente un maschio e una femmina, e la loro sarebbe stata una famiglia molto bella e molto felice, non aveva dubbi.
Aveva nevicato per tutto il giorno successivo e non erano riusciti ad incontrarsi. Il terzo giorno le scuole erano rimaste chiuse e Valeria si era innervosita molto.
Non hanno proprio niente da fare, aveva pensato guardando le compagne che esultavano alla notizia.
Con un sospiro si staccò dalla finestra.
Doveva sbrigarsi, altrimenti non sarebbe mai arrivata a scuola.
La macchina di suo padre questa volta percorse la salita abbastanza facilmente e quando Valeria arrivò a scuola, la neve era già mescolata alla pioggia.
Per fortuna, pensò e lo pensò anche all’uscita. Se piove si scioglierà più in fretta e io non vedo l’ora che si sia sciolta perché non la sopporto…
Le rotaie del tram non erano bloccate e Valeria impiegò soltanto dieci minuti più del solito per arrivare al capolinea della settantasei.
Oggi era sola perché Floriana aveva appuntamento col suo ragazzo ad un’altra fermata.
Prima di salire sulla settantasei, si fermò all’edicola ad acquistare un giornale da leggere durante il tragitto, che era così lungo e la annoiava. Oggi poi, con la neve, sarebbe durato ancora di più.
L’autobus era pieno e Valeria faticò a trovare un angolo per sistemarsi.
Quando partì, lanciò un’occhiata al finestrino ma era tutto annebbiato e non si vedeva niente. Vide invece Mario a un metro da lei. Anche lui la vide e si salutarono, un semplice “ciao” accompagnato da un mezzo sorriso, poi Valeria si immerse nella lettura di un’intervista a Michael Jackson e Mario pulì con la mano il pezzo di finestrino che aveva davanti per guardare fuori.
Tre fermate dopo qualcuno gridò:
“Ciao Mario!”
Parecchia gente si voltò a guadare da dove provenisse quella voce. Era un ragazzo biondo, bloccato sui gradini vicino alla porta perché l’autobus era troppo pieno per andare oltre.
“Ciao Lorenzo,” disse Mario.
“Hai visto che bella nevicata?”
“Io odio la neve,” disse ancora Mario cupo.
Valeria voltò pagina. Tutto quello che resta del nostro amore travolgente, pensò distrattamente, è l’odio per la neve.