Oramai il mio unico scopo quando apro gli occhi al mattino, è attendere pazientemente che il tempo passi, che diventi sera e che possa sospirare tra me e me: finalmente, un altro giorno è andato.
Anche nel momento in cui mi ritrovo a sospirare, grata che il mondo continui a ruotare e che il sole si sia licenziato, lasciando il posto alla luna e alle stelle, scopro di essere stata tratta in inganno, lentamente scivolo nel baratro della notte buia e silenziosa, che sopraggiunge, sorvola, controlla, travolge e porta con se’ i flebili raggi di speranza nei miei occhi, quelli dimenticati lì ormai da tempo indefinito.
Ed è così che inizia la mia corsa, ancora una volta, contro il tempo, senz’aiuti e senza che nessuno sappia, come sempre, sola contro il mondo, l’universo, le stagioni, le ore, il buio, la luce.
Un urlo nell'oscurità della mia stanza che è, oramai, la mia prigione, un urlo straziante e muto.
Non sai cosa si prova a sentirsi sempre incompleta, in ogni situazione inadatta.
Sono una bozza, lo scarabocchio di un ragazzino annoiato sul banco di scuola, incompiuta e abbandonata per la pigrizia di andare avanti e quella di cancellare.
Provo a cancellarmi da sola allora, pian piano, pezzo a pezzo, parte dopo parte, perdo un po’ di me.
I capelli, gl’occhi, le labbra si sgretolano e cadono come foglie secche dai rami in autunno, la pelle si disintegra, s’intravedono ossa e muscoli, nervi e organi. Una bambola rotta sono. Senz'anima.
Il cuore è stato il primo a scomparire, ricoperto com’è da uno spesso strato di ghiaccio, solido e impenetrabile, invisibile oramai. Le stagioni di quella che sono. Le stagioni di quella che ero.
Altro che fine del mondo… Ecco a voi la fine di me.