A Borumbia, un immaginario stato del Sud America, vigeva la pena capitale, una sanzione penale che dopo tanti decenni, grazie ad un prigioniero, andò in disuso sul finire degli anni novanta.
L’ordinamento giuridico prevedeva che i condannati venissero impiccati, non prima di veloci processi mirati a risolvere in maniera sbrigativa l’eliminazione fisica di coloro che si erano macchiati di reati troppo gravi nonché imperdonabili (il 90 % dei casi riguardavano gli omicidi), un male che andava necessariamente estirpato e con l’obbiettivo primario di rendere più sicura la società. L’ergastolo non esisteva, il periodo massimo di detenzione era vent’anni per i reati di medio-alta gravità.
In questa piccola nazione di circa un milione di abitanti, oltre a rappresentare un caso esclusivo per il Continente, le esecuzioni venivano applicate costantemente e con una media di 10 impiccati alla settimana, in quanto i crimini erano abbastanza diffusi.
Caratteristica degna di nota delle esecuzioni era che ai prigionieri, una volta saliti sul patibolo, era concesso un importante diritto: un ultimo desiderio prima di morire.
Una mattina, il 5 Giugno del 1998, alle 6:00, tre uomini erano pronti ad essere giustiziati.
L’impiccagione avveniva come sempre nel cortile di Los Alamos, il più grande penitenziario del paese, in presenza di numerose guardie carcerarie, un alto ufficiale di quest’ultime, un giudice, un prete e ovviamente il boia mascherato. Ai detenuti non era possibile assistere alla morte dei loro compagni e restavano rinchiusi nelle loro rispettive celle, fino a nuovo ordine.
Il primo ad essere condannato fu José Andrés Ramírez un trentatreenne di origine colombiana accusato di aver ucciso il direttore di una banca di Macizo, freddandolo con una pistola, durante una rapina.
A differenza dei suoi cinque complici che riuscirono a dileguarsi, venne arrestato e ferito dalla polizia dopo un conflitto a fuoco.
“Detenuto Ramirez, qual è il tuo ultimo desiderio prima di morire?”, gli chiese il giudice Fabián Torres con tono autoritario.
“Vorrei dire le mie ultime preghiere!” gli rispose a capo basso.
Franco Jaramillo colonnello di polizia della prigione, lo squadrò con curiosità poiché conoscendo bene la storia del condannato, si stupì della sua richiesta.
“Ramirez, ma non eri un ateo di ferro?”, gli domandò deridendolo.
“Non c’è ateo più religioso di un ateo che sta per morire, señor!”, manifestò con un fil di voce e con espressione a dir poco avvilita.
Fu accontentato e dopo aver recitato con convinzione le più importanti preghiere, alzò lo sguardo in cielo, pentendosi di tutti i suoi peccati.
Dieci minuti dopo, venne impiccato con le lacrime agli occhi.
Fu il turno di Gustavo Martinez, soprannominato “El Burro”, un pericoloso trentacinquenne tatuato dalla carnagione mulatta, reo di aver colpito mortalmente alla testa, durante una perquisizione, un poliziotto dell’antidroga con un machete che teneva nascosto sotto il giubbotto. Fu catturato dopo due giorni in un'abitazione che riteneva sicura, grazie a una soffiata e all’intervento dell’Equipo Especial de Asalto (Squadra Speciale d’Assalto)
“Detenuto Martinez, qual è il tuo ultimo desiderio prima di morire?”, formulò il giudice, con la stessa e identica domanda di rito.
“Vorrei far l’amore fino a sfiancarmi con la detenuta Amanda Gaitán che si trova nel braccio femminile!”, desiderò con fare disinvolto. La richiesta gli venne concessa senza obiezioni e senza problemi.
I due si erano conosciuti in cortile durante le ore d’aria, grazie ad una recinzione che separava i maschi dalle femmine e si erano piaciuti fin da subito.
Nella sezione maschile venne istituita una cella tutta per loro e per garantire la giusta privacy, furono collocati in un posto isolato e lontano dagli altri carcerati.
Una volta lasciati da soli, si fecero travolgere dalla passione per le successive cinque ore, finché sfiniti dalla stanchezza si addormentarono abbracciati sotto le coperte.
Furono svegliati dalle guardie carcerarie, che di gran peso trascinarono Martinez al patibolo, non prima di essersi rivestito di fretta e furia.
“Adiós mi amor!” pianse Amanda, vedendo il suo uomo da dietro le sbarre allontanarsi sempre di più per i corridoi del carcere per poi essere qualche minuto dopo, reintegrata nella sezione femminile.
“Forza Martinez! Tra poco raggiungerai altri orgasmi… celestiali!”, canzonò immancabilmente il colonnello Jaramillo.
Odiava ferocemente tutti i carcerati, in particolar modo gli assassini e prima delle impiccagioni propinava ad ognuno di loro piccole battute spesso di cattivo di gusto.
“El Burro” venne così impiccato, il suo volto era satollo e compiaciuto.