C’era una volta un giovane fanciullo che si chiamava Martino; Martino era orfano di padre e di madre e non aveva nessuno al mondo, se non una vecchia giumenta malandata di nome Clementina, unica eredità lasciatagli dai suoi genitori, e con la quale condivideva la sua misera esistenza.
Si, perché Martino era poverissimo.
Lui e Clementina vivevano a stretto contatto nella stalla di un contadino della zona, che mosso a compassione aveva dato asilo al povero ragazzo affinché non fosse costretto a vivere per strada.
Un giorno Martino incontrò Pasquale, lo stagnino del paese, che riparava le pentole: quest’ultimo, che era una persona molto rozza e gretta, chiese a Martino se voleva diventare il suo garzone. Martino, che non aveva mai avuto un lavoro, ma che era un ragazzo di buona volontà, accettò di buon grado.
Il suo compito sarebbe stato quello di andare a consegnare le pentole riparate e farsi dare il dovuto. Martino sapeva già che non sarebbe stato facile, perché a quel tempo la gente aveva a malapena da mangiare, e quando si trattava di pagare il dovuto inventava sempre tante scuse. Pasquale aveva già cambiato tanti garzoni perché quando questi tornavano da lui senza il denaro lui li batteva col manico della scopa, e tutti alla fine rinunciavano a quel compito gravoso, ed è per questo che alla fine lo stagnino si era rivolto a quel povero ragazzo miserabile e straccione, pensando, come in effetti era poi avvenuto, che la prospettiva di guadagnare qualche soldo lo avrebbe indotto ad accettare la proposta.
E così Martino iniziò a lavorare per Pasquale.
Il lavoro era molto duro.. C’era da camminare ore ed ore su sentieri impervi e sconnessi, tirando il carretto che era sempre strapieno di pentole di tutte le fogge e grandezze e pesava molto. Martino arrivava sempre alla sera alla sua stalla con le vesciche ai piedi, ma contento. Entrava entusiasta nel suo misero ricovero, e diceva alla giumenta: “Anche oggi potremo mangiare, mia dolce Clementina”.
Un bel giorno Pasquale incaricò Martino di andare a riconsegnare una pentola in una casupola abbarbicata in cima al monte, dove viveva una famiglia sulla quale circolavano molte voci in paese. Si diceva infatti che la figlia dei due coniugi fosse una strega molto cattiva. La casa era molto isolata e davvero in pochi si avvicinavano a quell’abitazione perché la superstizione era molta, e tutti in paese avevano paura.
Ma Martino, che non era per niente superstizioso, e che aveva fame e teneva molto al suo lavoro di garzone, non si fece alcun problema, e preso il suo carretto strapieno di pentole si inerpicò su per la montagna per recarsi in quella casa tanto temuta.
Lo accolse una donna dall’aria scarmigliata e logora e lo fece entrare con gentilezza. Presa la pentola la esaminò a lungo per controllare che fosse stata riparata bene.
Martino attendeva pazientemente. Quando vide la donna annuire soddisfatta, Martino le chiese dunque il denaro, ma la signora iniziò a snocciolare una serie di scuse. Martino con ferma gentilezza le rispose che il denaro glielo doveva proprio dare perché altrimenti Pasquale si sarebbe adirato e lo avrebbe battuto. La donna chiamò il marito, un omone dall’aria stralunata che fece il suo ingresso nella stanza con passo pesante.. Ne seguì una accesa discussione tra i due. Martino attendeva pazientemente.
Finito che ebbero di discutere, i due proposero a Martino di fermarsi a pranzo da loro come risarcimento dei soldi mancanti. Martino accettò la proposta ma disse che in ogni caso avrebbero dovuto dargli un’altra pentola in pegno da portare a Pasquale, perché se no l’avrebbe battuto.
E così si accordarono. Consumarono insieme un modesto ma genuino pasto, dopo di che la donna, che si era ricordata di una vecchia pentola polverosa abbandonata nella loro cantina, la andò a prendere e la consegnò a Martino, che ringraziò e si congedò.
Martino mise la pentola sul suo carretto e si avviò. Fece la strada che aveva fatto in precedenza a ritroso, ma ad un certo punto, stanco del lungo camminare, si fermò a riposare, e mentre lo faceva, ne approfittò per dare una controllata alle pentole sul carretto.. E si accorse quindi, con sorpresa, che la vecchia pentola polverosa datagli in pegno dalla famiglia della strega, che prima era vuota, conteneva ora un sacco chiuso con lo spago e pieno di monete d’oro!
Pieno di stupore e di meraviglia Martino decise in tutta fretta di fare una puntatina alla stalla dove abitava con Clementina, e tolto dalla pentola il denaro da dare a Pasquale, nascose ben bene la pentola sotto la paglia. Dopo di che tornò dal suo datore di lavoro e consegnatigli come sempre i denari e preso il suo carretto strapieno di pentole si congedò senza dire niente.
Il giorno dopo al risveglio Martino scoprì che nel la pentola c’era di nuovo un sacco, chiuso con lo spago e pieno di monete d’oro..
Ma ad un certo punto vide sul sentiero che portava alla sua stalla un nuvolone nero, al centro del quale una figura scura e minacciosa camminava di buon passo verso di lui. Era la tanto temuta figlia strega della coppia del giorno precedente. La donna, che aveva un aspetto terribile, gli intimò di ridarle la sua pentola.
Martino non si perse d’animo, e le disse che gliela avrebbe senz’altro riportata il giorno dopo.
Quando quella se ne andò, Martino si mise di buona lena a cercare nel suo carretto una pentola che uguale a quella della strega, e trovatale, riempì un sacco di ghiande, lo chiuse bene con lo spago e lo mise dentro la pentola.
Si incamminò quindi verso la casa dove la strega abitava con i suoi genitori, e lì arrivato, le consegnò la pentola.
La strega, molto soddisfatta aprì il sacco, ma quando vide che questo conteneva solo delle ghiande chiese con aria minacciosa delle spiegazioni. Martino le disse che erano ghiande magiche e che se le avesse mangiate sarebbe diventata ricca e bellissima.
La strega afferrò una ghianda con cupidigia e la ingurgitò. Istantaneamente si trasformò in una scrofa, e Martino, tutto soddisfatto corse alla sua stalla, radunò i suoi pochi averi e li mise sul suo carretto accanto alla pentola magica. Dopo di che prese Clementina e se ne andò.
E nessuno vide mai più Martino il garzone e la sua Clementina.
Questo racconto è il primo frutto di un laboratorio di scrittura creativa che sto provando ad impostare con alcune anziane signore che vivono nell'Rsa in cui lavoro; i contenuti sono interamente loro, io li ho solo rimaneggiati per rendere la narrazione più scorrevole.