Lo sentì rincasare e corse a chiudersi in camera. Il passo, come al solito, era pesante. Pareva trascinarsi a fatica. Quando ruppe un vaso, accanto alla porta d’entrata, ebbe la certezza che nemmeno quella sera lui fosse sobrio. Aveva passato la sua giovane vita a scrutare negli occhi chiari di sua madre, per comprendere se potere o meno parlare. Se fosse quella una buona o una cattiva serata per giocare, per sorridere, o semplicemente per respirare. E, in tredici anni di vita, tutto quel che aveva letto in quella donna dal carattere troppo arrendevole era terrore. La paura di non farcela.
Se lei qualche volta lo avesse protetto, avesse anche solo tentato di difenderlo, lui non si sarebbe sentito così perso. Come se la sua sorte fosse già segnata, e del tutto indipendente dalla presenza di lei al piano di sotto. Con un solo cenno, gli avrebbe trasmesso almeno un po’ di coraggio; invece l'esistenza, per loro due, una madre e il suo pavido figlio, era stata come un gioco a nascondino. Si viveva solo quando quel padre disgraziato era lontano. Perché quando tornava, erano dolori.
Non sentì le parole con cui lui si rivolse alla moglie, giù di sotto. Ma il ragazzino, dal suo letto, udì chiaramente alcuni tonfi sordi. Sua madre, ormai, neanche più ci provava a gridare. Incassava i colpi in silenzio; le parole che lui le vomitava addosso scivolavano. Certo, lei piangeva e lui le lasciava dei lividi, ma il figlio aveva come l’impressione che lei, da anni ormai, fosse altrove.
Udì i soliti passi sulle scale, quelli delle “cattive” serate. Si alzò dal letto, perché lì sapeva di non avere possibilità alcuna di salvarsi.
Col suo pugno piccolo, comprese di non poterlo danneggiare. Come sempre, era in trappola.
Quando lui aprì la porta, l’odore di whisky misto a tabacco stantio invase la stanza. Di bettola e di puttane, e di tutto il tempo “rubato” alla famiglia. Ma quale famiglia?
Il ragazzo indietreggiò piano e realizzò di doversi nascondere. Però era tardi. L’ombra minacciosa ormai era lì, col suo ghigno rubizzo.
«Sei stato molto, molto cattivo», queste le sue parole strascicate. Era il suo esordio; una frase che pareva eccitarlo e dargli ogni volta una nuova carica.
La vittima, perché questo era, si appiattì lungo l’armadio, sperando di riuscire a strisciare via come fanno i gatti.
E, mentre il cuore gli scoppiava nel petto e l’aria veniva a mancare, pensò che certi padri non dovessero avere figli. Lui di sicuro era uno di quelli.
Ma che era troppo tardi, l’ho forse già detto?