La serata è limpida, che più non si potrebbe. E lui è lì, tutto per loro. Lo acclamano, come fossero vecchi amanti che non si vedono da tempo, rinnovando ogni volta quel rapporto speciale, fatto di tepore, di sogni e di favole antiche.
Il teatro è pieno: c’è il tutto esaurito. Che bella soddisfazione! Fa sentire apprezzati; ripaga dei sacrifici e dei torti subiti. Dell’indifferenza e delle volte in cui è stato sminuito.
Mentre l’adrenalina sale, il pensiero va a chi nel buio incontrerà presto le sue parole. Gesti istrionici che qualcuno un tempo gli ha insegnato, ma che poi ha saputo fare suoi. Fino a trasformarli in un’estensione di sé; mani che fendono l’aria e accompagnano i discorsi. Li completano e li esplicano anche a chi non vuol sentire. Ineluttabili come la vita che, a poco a poco, prende una sua strada e non la fermi. Coi gesti né altro.
Lui è un attore apprezzato, su questo ci sono pochi dubbi. Senti come lo acclamano! Come gridano il suo nome, impazienti che faccia il suo ingresso. Che quel drappo troppo pesate, volto ad occultare promesse, d’un tratto si alzi e lui lì! Nudo… inerme, di fronte alla moltitudine. Ma terribilmente vivo. Solo così, e non in altro modo, la maledetta vita che scorre.
Ma c’è tempo. Perché quel che più conta è l’attesa. Pregustare il momento, come se nell’aspettativa si celasse la vera linfa. Prima di essere amplificata oppure delusa, è l’immaginazione che muove la macchina. Ed è sempre nel camerino, suo compagno di una vita, che inizia la festa. Quello il luogo che lo aiuta ad accrescere il suo potere.
Lui si siede e abbozza un sorriso. Ogni oggetto gli è familiare, addirittura compagno. La mano, leggermente sudata dall’eccitazione, accarezza la superficie piana e liscia del tavolo, le confezioni lucide dei cosmetici.
D’un tratto inclina la testa di lato, è benevolo. Ascolta le voci; sente parlare il suo pubblico e si pavoneggia contento. Seppur da frasi attutite, che sembrano giungere da un’intercapedine di ovatta, avverte che loro lo comprendono. Grande sarà la sua gloria nei secoli, già lo sente.
Il camerino “ammicca”, fra le piccole mura domestiche, con quella carta da parati ingiallita. Le gambe, rigide, lo seguono a stento, mentre tronfio ruota sullo sgabello. È quello l’indice di tutte le sue bugie, e allo stesso tempo il limite. Un corpo che appare alienato e più non lo asseconda. Tornare alla realtà è sempre più tragico. Quel cerone patetico, spalmato di fretta, tradisce il fremito di mani malate. A stento riesce a lambire quel che l’età ha da tempo sciupato.
Di fronte a sé, uno specchio. Lui è un volto, ormai, che a malapena riconosce se stesso.
E nell’ombra, ad agire furtivo, Ego, il suo solo e unico amico.