Il brusio sta aumentando: tanto odiato dai residenti ma tanto amato da chi lo crea.
Un qualunque venerdì sera di una qualunque cittadina del Nord. I commercianti stanno chiudendo i negozi e una signora si affaccia dal balcone per controllare i panni stesi ad asciugare. Entro in una traversa, ed eccolo, il brusio. Un locale qualunque come tutti gli altri locali qualunque. L'Old Skull domina la piazzetta puntualmente ricolma di universitari e puntualmente il resto del gruppo è in ritardo. Non ha importanza, andrò a bermi qualcosa sulla terrazza del locale.
Entro.
Nonostante all'esterno ci sia già ressa l'interno del posto è apparentemente tranquillo, anche la musica è più che sopportabile, smooth jazz, ma d'altronde è ancora presto per aumentare i bpm. Prendo da bere e salgo in terrazza. Anche qui ci sono poche persone, meglio, è da un pò che non ho del tempo per rendere mio il singolo attimo e carpire il mondo circostante. Mi godo l'aria fresca della sera: è primavera inoltrata e si sente il profumo della terra bagnata dalle pioggie dei giorni precedenti. Profumo di casa. D'improvviso si alza il vento e qualcosa di diverso compare, qualcosa che credo di aver già sentito ma che non ho mai appreso veramente fino in fondo, qualcosa che ti colpisce e non ti lascia scampo, primordiale.
Più che un semplice profumo.
Un profumo è fatto per stupire e per riempire le narici di sensazioni che dopo mezz'ora svaniscono, ma questo odore è diverso, è come lava incandescente che a passo lento, ma incessante, brucia e consuma tutto ciò che trova davantia sè, suscitandomi un vortice di emozioni e ricordi: il mare della Spagna, il campeggio tra i boschi, la crostata di mia nonna - quanto mi mancava quella donna dai capelli argento, dallo sguardo dolce e con la battuta sempre pronta -. Mi giro verso l'origine dei miei ricordi ed eccola lì, seduta a gambe accavallate con un bicchiere di bianco in mano intenta a parlare con delle amiche. Per un attimo lungo quanto un anno intero mi estranio e divento indifferente a tutto ciò che entra nel mio campo visivo, concentrandomi solo su di lei. Indossa scarpe nere col tacco e per vestito una tuta nera elegante che va a stringersi lungo le caviglie, ma non è l'abito a colpire maggiormente la mia attenzione: una lunga treccia rosso fuoco le pende sulla spalla, in tinta col rossetto che le incornicia le sottili labbra sfoggiate con la naturalezza di un accessorio quotidiano. Non un filo di trucco. Tanto bella quanto semplice. Il suo unico vezzo una sottile collana d'argento.
Noto con piacere che le amiche si spostano lasciandola da sola, devo parlarle. Devo conoscerla. Non faccio in tempo a collegare i miei pensieri con le azioni che le sto già andando incontro. Parlo di getto, senza pensare, incurante della sua reazione. Tranquillo. Noto con piacere che mi offre lo stesso riguardo riservatole poco prima squadrandomi da capo a piedi. Sorrido al pensiero di avere indosso una delle mie camicie preferite. Si sa, il bottone nobilita l'uomo. Ride. Non pensavo potesse risultare ancor più perfetta di così. Ringrazio di avere degli amici ritardatari. Continuiamo la conversazione consapevoli che il mondo esterno avrebbe potuto disturbare questa fragile bolla in cui ci stavamo crogiolando. Parliamo a ruota libera ed evitiamo il classico valzer di domande che si fanno quando conosci una persona per la prima volta. Una ragazza le si avvicina e sussurrandole qualcosa all'orecchio, gentilmente mi spiega che purtroppo deve andare via. Prima di poter proferire parola mi lascia il numero e facendomi l'occhiolino mi saluta abbandonando la terrazza ed il sottoscritto con un bicchiere vuoto. Resto a fissare il profilo della città per un tempo indefinito. Da dietro mi sento toccare una spalla, è lei, in mano, una bottiglia di vino e due bicchieri.