Ignazio Florio avvertì un tremore interno quando vide i contadini raccogliere quei grappoli d'uva, degni di Bacco. Tutto ad un tratto fiutò l'affare, riuscendo a vedere molto avanti nel futuro. L'uva siciliana sarebbe stata talmente generosa da far sgorgare un vino così amabile, che sarebbe stato riconosciuto in tutto il mondo. 
Carlo Pellegrino lo stava a sentire e serbava nel suo cuore le fantasiose riflessioni imprenditoriali dell'amico e collega. Creare un'azienda competitiva  sarebbe stato anche per lui l'obiettivo di tutta la vita. Quale afrodisiaco più potente, quale fonte d'ispirazione poetica sarebbero stati più efficaci di quel vino siciliano? Marsala, Moscato, Passito di Pantelleria e bianchi e rossi del Duca di Castelmonte avrebbero allietato le mense di tutto il mondo. E la Sicilia avrebbe offerto non solo zagara e fichidindia ma nettare divino, miele fermentato nelle botti di rovere e curato da mani esperte. A proposito del Duca di Castelmonte, Ignazio si arrabbiò un po' quando una sera vide Franca, sua moglie, stranamente felice. La gelosia per Franca stava cominciando a renderlo nervoso. Infatti era stato recapitato a sua moglie un cartiglio del Duca, che oltre a riportate parole di elogio per la sua bellezza, le richiedeva un giudizio su un vinello rosso, frutto dei suoi vigneti,che " si era premurato di allegare al presente biglietto".
Una bottiglia di vino a Franca e non a lui, esperto oltre che di tonnare, di automobili, di vele anche di vino? Cosa c'era dietro quell'omaggio così bizzarro? Forse una tresca amorosa della sua sposa? É che di situazioni di questo genere ne aveva vissute tante lui, nella sua nobile vita. E quante avventure, passate dietro gli sguardi sofferenti di Franca. Confidò questo suo cruccio anche alla contessa Arrivabene, che cominciò a coccolarlo, contenta di vederlo così appassionato e preoccupato, lui, uomo sempre sicuro di sé e della fedeltá di sua moglie. É che la fama delle bellezza di Franca aveva oltrepassato i confini dell'isola, era arrivata in tutta Italia ed i regnanti d'Europa conoscevano l'Olivuzza, la residenza della famiglia Florio, le splendide ville disseminate in tutta Palermo ed il fascino di donna Franca. Ma Vincenzo non riusciva ad accontentarsi solo di questa donna. Era nella sua indole il piacere di esaltare la bellezza di altre donne. Era come una moda del tempo o di tutti i tempi. E la sua ultima amante, la contessa Arrivabene, lo sapeva benissimo. Il turbamento di Ignazio per tale dono del Duca lo accompagnò per tutti i mesi, anche quando venne il periodo della vendemmia. Qui, in Sicilia in particolare, ogni nobile ha sempre avuto due sogni: essere al centro degli interessi femminili dell'epoca e dare lustro al Casato. E la vigna dietro la villa era un lusso, che rendeva quasi sacro quel terreno,  su cui poggiavano le fondamenta della casa. La nostra isola è la regione dove il culto della vite risale a quando Dioniso per proteggere la piantina della vite durante un lungo viaggio la mise dentro un osso d'uccello, poi in quello più voluminoso di leone ed infine in quello d'asino. Sbarcato a capo Schirò, a Naxos, mise a dimora la piantina che crebbe e si diffuse in tutta l'isola con la sua inebriante presenza.  Ecco perché un buon assaggio di vino ci porta a vivere  la leggerezza di un uccello, una discreta bevuta, ci rende coraggiosi e forti come un leone e che l'esagerazione di quel liquido divino ci fa scadere nella condizione di asino. Franca, intanto, era riuscita  pure a convincere suo marito ad assaggiare il vino del Duca. Altro che sotterfugi creati dalla mente del marito! Ed Ignazio fu contento di quel gesto complice e coniugale. Dividere il piacere di un buon bicchiere con suo marito era stato un gesto anche fuorviante per Ignazio, che aveva sempre dedicato così poco tempo alla contemplazione della bellezza della sua sposa.  Questo lo fece riflettere a lungo, lo portò a curare più attentamente la sua sposa, la famiglia e non solo gli interessi del patrimonio e di quelli legati al suo piacere di dongiovanni. 
" Ottimo questo vino!"- fu il giudizio dei due, tanto che quella sera si amarono come mai avevano fatto da molto tempo. E di questo Franca fu sempre riconoscente al Duca di Castelmonte, che con l'offerta del suo vino, aveva fatto avvicinare Ignazio a lei e alla sua famiglia.
"Ottimo il vino siciliano, che unisce nella gioia le famiglie!"
Da quel giorno Vincenzo si preoccupò di far incrementare la produzione di vino delle sue vigne per raggiungere l'amabilità non solo di quello assaggiato ma per riproporre al gusto l'odore dei celebri vini dell'età romana come il Mamertinum, il Potulanum ed il Tauromentanum.  A rileggere la " De naturali vino rum historia" di Andrea Bacci, autore cinquecentesco, Vincenzo si inebriava a ritrovare in Sicilia i rossi dell'Etna, i vini di Noto, quelli del palermitano, quelli di Cammarata in Agrigento e si accorgeva come la qualità di quelli del passato era rimasta inalterata nel presente.
"Terra di vino, terra di sogno questa nostra Sicilia". 
In particolare nel trapanese aveva ritrovato viti della " grossezza di un uovo" è così feconde che erano sufficienti i frutti di dieci piante per riempire una botte di mosto. 
Le nuove produzioni avrebbero potuto eguagliare la nobiltà  del Marsala, invenzione di quei gattopardi dei Woodhouse, Ingham e Whitaker?  Ma c'era pure un' altra storia, di cui andava orgoglioso e che Vincenzo amava raccontare ai figli: quando Franca si preparava per andare a teatro. Un tempo immane a prepararsi, assaggiando una coppa di vino rosso fuoco come la sua passione.
11 maggio 1860: Garibaldi con i Mille sbarcarono dalle parti di Marsala, impresa finanziata dai Florio e protetta dalle navi inglesi. 
Due anni dopo l'eroe sarà il personaggio, che inaugurerà il Marsala delle dame e che allora prese il nome di D.G., Dolce Garibaldi. Favore ricambiato dal l'eroe dei due mondi. Vino dalle virtù terapeutiche, come la scienza dimostrerà in seguito, che rinfranca lo spirito ed aiuta a meditare nelle giuste dosi, simbolo di una storia, prodotta dall'incontro di più civiltà, che hanno portato al trionfo degli antichi splendori. Per cui assieme ai Florio, ai Woodhouse, agli Ingham, ai Whitaker e ai Pellegrino, immaginando la bellezza di donna Franca Florio così come appare dal dipinto di Boldini, "ergo vinum divinum bibamus". E del feeling  tra Franca e del Duca di Castelmonte  probabilmente non se ne ebbe mai alcun prova. Il sospetto di Vincenzo andò a scemare  con i suoi successi mprenditoriali. Alcuni dissero che erano state tutte cattiverie dell'alta nobiltà palermitana, invidiosa della fama di Franca Florio. Ma molti giurarono che lei ebbe sempre un sorriso ed un dolce sguardo per il Duca, che l'ammirava dal loggione del Teatro Massimo quando Caruso cantava con la sua ineguagliabile voce divina. 

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