Ero venuto bene su quella foto.
Cinque anni fa, scattata ai cancelli di Tor Vajanica, la spiaggia libera, alle sette di una sera d’estate col controluce di un sole arancione che si buttava nell’acqua al tramonto.
Ricordo anche cosa stavo ascoltando, un brano degli Oasis, Wonderwall, scritto quando i fratelli Gallagher erano ancora insieme.
Quei due coglioni! Ma questa è un’altra storia.
Insomma, al mare, con i capelli al vento, irrealmente biondi risultato di una tintura fatta ad inizio estate, ero proprio figo.
Avevo venticinque anni, una vita davanti.
A destra nella foto, nella parte tagliata da mia madre tra le lacrime c’era anche Gianna, all’epoca la mia ragazza, sempre da mia madre definita “quella zoccola” (ovviamente dopo che ci lasciammo)
Eravamo felici, un po’ di problemi di coppia non affrontati in maniera matura, quindi presto finì, però il fatto che quella lì sia rimasta la mia foto più bella dovrebbe far riflettere che certi momenti, anche se con l’amaro in bocca sono stati veramente splendidi.
Quella foto è visibile, anche da chi non mi conosce, al km 22 della via Salaria, a Roma, poco dopo l’incrocio con il Raccordo Anulare, su una piccola lapide di marmo.
C’è anche il mio nome, Orlando Savelli, ma pochi riescono a leggerlo, le macchine ci passano davanti di corsa… troppo di corsa.
Sono morto un anno fa, tornando da una festa con tre miei amici, ero rannicchiato davanti, lato passeggero, dormicchiavo, stranamente ascoltavo di nuovo gli Oasis, le ultime parole ascoltate nel torpore furono quelle rivolte all’amico che guidava dai due che erano dietro:
«Che cazzo fai, svegliati!!!!»
Evidentemente non ero l’unico a dormire.