C’era nell’aria una puzza di gasolio e un rumore infernale di trattori. Scesi di corsa le scale per andare a vedere cosa stava succedendo. Con mia sorpresa vidi un trattore che scaricava il suo carrello posteriore pieno di pannocchie di granoturco. Si stava formando al centro dell’aia una specie di montagna di spighe. Un trattore andava via e un altro veniva a portare il suo carico.
Vidi il Baffo e il Boccino fianco a fianco con dei forconi aiutare affinché il mucchio crescesse in altezza limitando la sua base all’interno dell’aia. Passò quasi metà mattinata questo via vai di mezzi prima che tutto finisse in un enorme cumulo di pannocchie alto quasi come il primo piano delle case. Intanto il sole si era alzato parecchio. Tutti quelli, che erano stati lì ad aiutare, erano notevolmente sudati. Scomparvero per riposarsi e rimettersi degli abiti puliti e asciutti. Alcuni si misero sotto il noce a fare colazione. Quando mi videro comparire fuori dall’uscio di casa, mi fecero oggetto di calorosi saluti, i più giovani mi abbracciarono con affetto, i grandi mi rivolsero apprezzamenti e occhiate di compiacimento. Feci il giro della corte per andare a salutare tutti e anche per chiedere spiegazioni su quella montagna di spighe.
< Scusatemi! Ma ora che avete messo tutte queste pannocchie che succede, devono essiccarsi ancora al sole? Le vedo già belle secche e fruscianti.>
< Ora fa troppo caldo - rispose il Boccino- e non si può lavorare, vedrai oggi quando cala il sole che succede, tu preparati che ci sarà da lavorare parecchio.>
< Ma, -chiesi incuriosito- l’anno scorso non lo abbiamo fatto questo lavoro! >
< Non lo abbiamo fatto perché avevamo messo a dimora da poco le piante ed erano troppo giovani per fare un buon raccolto. Quel poco che abbiamo ricavato lo abbiamo dato agli animali. Quest’anno è venuto su molto bene e abbondante e, allora ci tocca fare questo lavoro. Sei capitato proprio al momento giusto. Ci vediamo più tardi! Ora noi andiamo a riposarci un po’ che stasera si farà tardi.>
Finalmente verso le quattro del pomeriggio ci fu un intenso movimento di persone. Vidi molte donne, mai viste prima, arrivare da fuori. Ognuna si portava appresso uno sgabello, avevano tutte dei fazzoletti colorati in testa e vestiti lunghi da lavoro, nonostante il caldo.
Man mano che arrivavano uscivano dalle case della corte anche tutti gli altri, bambini compresi. Lentamente si formò un grosso cerchio di persone sedute intorno all’enorme massa di granoturco. Al lato degli sgabelli o delle sedie ognuno aveva un cesto, un secchio, un contenitore in cui poter mettere qualcosa. Il lavoro vero e proprio incominciò: presa una pannocchia da terra la sfogliavano con destrezza e la separavano dalle foglie secche che le ricoprivano.
La pannocchia cadeva nel cesto da lato, le foglie dall’altro lato. Quando il contenitore era pieno, un ragazzo lo prendeva e lo andava a svuotare in un cassone. Pannocchie da una parte, foglie da un’altra.
Tutte le foglie secche sarebbero servite per preparare i materassi. Là dove era difficile procurarsi il vello di pecora per imbottire i materassi, i contadini usavano le sfoglie secche del granoturco
Volli provare anche io a sfogliare qualcuna di quelle belle spighe, ma già alla terza le mani mi dolevano. Era molto faticoso separarle. Le foglie, secche e indurite dal sole, facevano resistenza e solo la maestria di chi aveva fatto questo lavoro per tanto tempo, poteva riuscire.
Ogni tanto c’era una pausa e si approfittava per bere. Le ragazze più giovani portavano i fiaschi di vino, le brocche con l’acqua e verso l’imbrunire ci furono anche fette di pane con formaggio e salame. Man mano che il cerchio si stringeva i lavoranti si avvicinavano alzando la sedia e facendosi più vicino al mucchio. Era un lavoro di gruppo preciso come una catena di montaggio, ognuno aveva il suo compito e tutti lo svolgevano alla perfezione, io m’inserii nel circuito alternandomi con un figlio del Boccino.
Aveva la mia stessa età ed era adibito allo svuotamento dei secchi di pannocchie.
Questa occasione, era paragonabile alla vendemmia. Un movimento corale di gruppo, la vera forza delle corti Lucchesi.
Le comunità rurali riuscivano a sopravvivere proprio per questo senso di solidarietà reciproca. Tutto il lavoro era equamente suddiviso all’interno della comunità e non solo. Tutta la vita sociale e lavorativa di quelle persone era legata alla loro capacità di essere solidale con gli altri. Venne la sera e ci fu la sosta per la notte.